La moda-bimbo è sempre più contemporanea
La rivincita di un settore trascurato per anni dall’alta moda
10 Ottobre 2022
Nel 1994 Karl Lagerfeld fece sfilare Claudia Schiffer con una maglietta per bambina sotto un completo di Chanel. In quel momento il mercato della moda per bambini era quasi sconosciuto ai grandi marchi, ma da diversi anni è diventato appetibile a sempre più case di moda di alto profilo. In precedenza si basava solo su brand tradizionali, che disegnavano capi staccati della contemporaneità e poco ricercati in termini di tessuti e linee. Se le aziende di alta moda si sono interessate all’abbigliamento per bambini in ritardo, anche le testate e i magazine più autorevoli non si sono occupati del tema per molto tempo. Marni, Gucci, Fendi, ma anche Lanvin e Dolce & Gabbana, tra gli altri, hanno aperto divisioni specializzate sulla moda-bimbo solo a partire dal 2010; dopo la prima settimana della moda dedicata ai bambini, tenutasi a Londra nel 2013, sono entrati nel mercato anche Balenciaga, Givenchy e Karl Lagerfeld, tra i molti. Anche se naturalmente non si può paragonare a quello della moda per gli adulti, il settore moda-bambi oggi funziona, nonostante lo scetticismo iniziale: ad esempio la sezione Kids di Burberry, nata nel 2001, a poco più di dieci anni della sua implementazione fatturava circa il 4% delle vendite totali del marchio. Nel 2018, in media, l’abbigliamento per bambini rappresentava il 10% delle entrate complessive dei brand, e due anni più tardi il settore non è stato colpito quanto la moda-adulti della pandemia. Oggi l’abbigliamento per bambini è sempre meno senza-tempo, grazie soprattutto a Internet e un cambio di mentalità da parte dei genitori.
In questa scena in espansione stanno trovando posto anche label indipendenti e più sperimentali, attenti alla sostenibilità ecologica e sociale così come alle tematiche di genere. Queste etichette di nicchia, a volte fondate dagli stessi genitori, spesso integrano alle proprie collezioni anche oggettistica, libri e prodotti di design o cosmesi per bambini. Il sito di Pitti Bimbo, che organizza una delle più importanti fiere al mondo di abbigliamento per bambini, ha una sezione tutta dedicata alle firme pionieristiche e di ricerca attive sul mercato, molte delle quali provengono dal Nord-Europa. Produrre vestiti per bambino è però particolarmente complesso: le taglie sono tante, sono difficili da raggruppare (a differenza di quelle degli adulti) e sono meno standardizzate, perché i bambini hanno fisicità molto diverse fra loro. C’è anche il tema della sicurezza, che presenta una regolamentazione molto severa: per esempio alcuni tipi di coloranti ammessi per i vestiti degli adulti non lo sono per quelli dei bambini; ogni Paese poi ha le proprie norme in merito, perciò anche le esportazioni sono complicate da gestire. Queste difficoltà hanno portato molti grandi marchi ad appoggiarsi, su licenza, alle aziende storiche del settore. Lavorare in questo modo conviene a entrambe le parti: da un lato permette ai brand di alta moda di andare in produzione facendo affidamento su chi questo ambito lo vive da tempo e lo conosce nei dettagli; dall’altro aiuta le aziende tradizionali a mantenersi aggiornate, contando su una collaborazione continuativa con realtà più strutturate.
Il know-how delle aziende storiche è fondamentale soprattutto perché spesso le case di moda scelgono di riadattare le collezioni stagionali degli adulti a quelle per i bambini. Questa è forse la caratteristica più importante dell’abbigliamento contemporaneo per bambini, e nasce dal cosiddetto “mini me”, cioè la scelta di vestire i figli con gli stessi capi dei genitori. Molto popolare sui social, è stata promossa da celebrità come Kim Kardashian, Beyoncé e Victoria Beckham con le rispettive figlie. I grandi marchi, tra cui Balenciaga, nel disegnare i propri prodotti hanno scelto di cavalcare questa tendenza, semplificando all’occorrenza le forme e le stampe, ma senza discostarsi troppo dalle linee già curate per gli adulti. Nella moda-bimbo quel che continua a far discutere sono costi: i singoli capi, gli accessori e le scarpe luxury per bambini vengono vendute a cifre nell’ordine di varie centinaia di euro; ci sono poi casi come quello di Dior, che dal 2013 propone la linea haute couture anche per i più piccoli, realizzando abiti che possono valere oltre 10mila euro. A funzionare più di tutto in questo mercato è probabilmente il cosiddetto “my first”, vale a dire il regalo per la nascita, dove si è notato che anche il pubblico più generalista ricorre, per l’occasione, ai prodotti delle grandi case di moda – più che altro come ricordo dell’infanzia del bambino (le sneakers infatti vanno tantissimo e diventano quasi dei pezzi da collezione). Come ha scritto Business of Fashion, nessuno nel settore credeva che la moda-bimbo sarebbe stato un affare, invece i piccoli e grandi marchi sono riusciti a costruirsi un mercato sostenibile.