Quest’autunno il vero flex è un maglione scozzese
No land like Shetland
07 Ottobre 2022
L’epoca erano i primi anni post-2010. La moda hipster travalicava i confini di Williamsburg, a Brooklyn, e attraverso Tumblr si riversava in tutto il mondo. Fu durante quell’ondata di fascinazione verso tutto ciò che era indie, tinto di folk e vagamente eccentrico che i maglioni decorati da motivi Fairs Isle iniziarono a diffondersi un po’ ovunque, assorbendo quell’aura autentica e anti-convenzionale da “guardaroba del nonno rivisitato” diventata poi sinonimo dell’intellettuale modaiolo fuori dai giri adorato dalla sottocultura hipster. Poi vennero streetwear e gorpcore, i maglioni Fair Isle vennero sepolti da hoodie a doppio strato, giacche di fleece, shell jacket di Arc’teryx, maglie termiche. Passati anche questi trend, il 2022 sembra annunciarsi come l’anno del minimalismo iper-lussuoso e dei materiali tattili che si oppongono alle micro-bolle dei trend in continua effervescenza sui social: i maglioni tornano spessi e pesanti, i materiali diventano raffinati (oltre che organici), le silhouette vengono semplificate e si avverte una fame di autenticità che il bombardamento di grafiche cheap o prevedibili non garantisce. La maglieria dunque si biforca: da un lato gli eccentrici e sublimi pezzi psichedelici in mohair di Marni, i vaporosi cardigan di Stolen Girlfriends Club e Nong Rak, i pezzi in cachemire psichedelici di The Elder Statesman; dall’altro i pesanti maglioni iper-minimalisti di The Row, Studio Nicholson, Wardrob NYC e Aimè Leon Dore, per fare qualche esempio. Eppure molta della maglieria che oggi il lusso produce si richiama a un tipo di maglieria di identica qualità ed elevata accessibilità: i maglioni scozzesi.
In realtà, poco cambia tra un maglione scozzese decorato a losanghe, in tinta unita, cable-knit o decorato in stile Fair Isle – il materiale è il protagonista di questa maglieria che è rimasta sostanzialmente invariata per un secolo e mezzo: la lana Shetland. Date le sue caratteristiche fisiche, la sua iniziale ruvidezza e le sue naturali sfumature di colore la lana Shetland è considerata una delle migliori al mondo, leggermente diversa dalla Merino che di solito è usata per filati più sottili, meno morbida e fragile del cachemire, più pratica di angora e alpaca. Il materiale è usato a oggi dai brand di moda più alti come Prada, Bottega Veneta, Maison Margiela, Ralph Lauren, Gucci, Junya Watanabe.
Eppure esiste un manipolo di brand Made in Scotland assenti dalle passerelle della fashion week eppure dotati di una lunghissima storia, di una tradizione radicata nel territorio e di una intrinseca qualità che li rende forse l’opzione più autentica per una maglieria equidistante sia dal ciclo e riciclo dei trend e dei branding che dalle politiche di prezzo dei più celebrati brand di lusso. Brand come Jamieson’s of Shetland, Pringle of Scotland, Ballantyne, Laurence J. Smith, Johnstons of Elgin, William Lockie, John Laing, Shetland Woollen Co., Harley (e questo per citarne alcuni) sono a oggi dei bastioni della tradizione scozzese – tanto più che i loro maglioni sono relativamente facili da trovare nei negozi vintage di tutta Europa e specialmente in Italia, dove negli anni ’70 e ’80 i prodotti in lana scozzese erano assai popolari.
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Inaspettatamente, di questa maglieria tradizionale esiste persino una versione couture: nelle remote isole Shetland esistono infatti artigiane specializzate nella tessitura a mano dei classici maglioni Fair Isle. Un articolo di Condè Nast Traveller di qualche anno fa parla di due di loro, Mati Ventrillon e Hollie Shaw, che producono maglioni su misura e con tecniche manuali, soltanto con la lana dell’isola di Fair che è anche del tutto organica e hanno liste di attesa lunghe fino a tre anni. Nello specifico, Mati Ventrillon fu la designer che portò Chanel e Karl Lagerfeld a chiedere scusa per aver plagiato i suoi design nella collezione Chanel Métiers d’Art 2016, dove appunto alcuni particolari tecniche di tessitura vennero replicate dopo che due persone del team del brand si erano presentate nel suo studio in Scozia e avevano comprato due dei suoi maglioni per “ricerca”.
Se i lettori ci consentono un po’ di trend forecasting, oltre alla prosecuzione del trend del mohair e a quello del luxe-minimalism, la stagione entrante porterà con sé una notevole fascinazione per i maglioni a losanghe: se la scorsa settimana un maglione a losanghe legato sulle spalle era parte del secondo look della collezione SS23 di Bottega Veneta, lo stile era apparso preminentemente nella collezione FW22 di Miu Miu, nelle più recenti sfilate di Ami Paris, Celine, S.S. Daley, Marine Serre e ovviamente Marni. E forse sarà una sorpresa sapere che quel famoso motivo a losanghe che sembrerebbe essere nato spontaneamente nel mondo della maglieria venne introdotto negli anni 20 proprio da Pringle of Scotland e popolarizzato dall’allora Duca di Windsor e futuro re d’Inghilterra Edoardo VII. La sua origine era puramente scozzese: si trattava infatti del motivo tartan tradizionale dei Campbell di Argyll – luogo da cui il motivo trae il suo nome in lingua inglese “Argyle”. Quanto ai motivi Fair Isle, invece, il brand più famoso che li ha replicati è Dior, mentre sia Raf Simons che Molly Goddard, Undercover e Kenzo li hanno inseriti nelle proprie collezioni recenti. Jonathan Anderson, invece, li ha incorporati costantemente nelle sue popolarissime collaborazioni con Uniqlo, fino all’ultima in uscita a ottobre. Basterebbe comunque esaminare gli show passati di molti altri brand per vedere come motivi Fair Isle e a losanghe, come anche l’uso della lana Shetland, siano rimasti sempre più o meno presenti nell’immaginazione dei designer.
E considerato come, oggi, i gusti di un certo tipo di pubblico che apprezza la moda stiano iniziando a vertere più su heritage brand indipendenti, o scovando perle vintage che possano replicare gli stessi stili dei brand luxe-minimalism, rivolgersi al classico maglione scozzese potrebbe essere il sottile flex di cui il nostro guardaroba invernale ha bisogno. In un’industria divorata dal marketing, dopo tutto, optare per brand indipendenti legati al proprio territorio rappresenta la cosa più controculturale che esista. Tanto più che il mondo del knitwear, con la sua cultura, i suoi materiali e le sue molte tecniche ha trovato una popolarità durante gli anni della pandemia che non accenna a svanire. Forse non ci saranno celebri loghi né dentro né fuori, ma chi li conosce, li riconosce.