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I brand di beauty indie si stanno ribellando alle celebrity

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il lancio del beauty brand di Brad Pitt

I brand di beauty indie si stanno ribellando alle celebrity La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il lancio del beauty brand di Brad Pitt

Lo scorso giovedì, Brad Pitt ha presentato ufficialmente Le Domain Skincare, beauty brand da lui ideato e fondato i cui prodotti sono creati a partire dall’uva della sua tenuta francese. La notizia non è stata presa benissimo da alcuni utenti di Twitter che hanno sottolineato come l’attore americano non sia proprio noto  per la sua pelle perfetta o per la sua passione per la cosmesi, hanno criticato i prezzi dei prodotti del brand che vanno dagli 80$ per un detergente viso ai 385$ per un siero, hanno scovato errori nei testi della presentazione (la parola “conservatives” usata al posto di “preservatives” che ora è stata corretta) e hanno pure attirato le critiche della co-founder di Caudalie, Mathilde Tomas, che ha accusato Le Domain di copiare la storia e l’estetica generale del proprio brand. A prenderla peggio di tutti però è stata Megan Felton, founder del brand Lionne, che ha riunito le founder di altri brand indipendenti come Carra, Highr, Ohana e Elth per scrivere una lettera aperta contro i celebrity brand che le star di Hollywood e non lanciano praticamente a cadenza settimanale:

«Negli ultimi anni, sembra che ogni celebrità si senta in grado di entrare nell'industria in cui abbiamo lavorato per tutta la nostra carriera e di ottenere da un giorno all'altro la consapevolezza per cui stiamo lottando. Voi, care celebrità, non avete alcuna esperienza in questo settore. E no, presentarsi a un servizio fotografico non conta come esperienza. Non avete mai fatto uno stage in questo settore o iniziato come dipendenti di basso livello. Non dovrete mai trasportare gli ordini della giornata all'ufficio postale o imparare a programmare il vostro sito. Non vi capiterà mai di non dormire perché non sapete come pagare il personale o l'inventario. Ma otterrete riconoscimento perché siete una celebrità. […] Se questo settore è un'industria di cui volete veramente far parte, investite o collaborate con noi. Pensate di diventare nostri produttori esecutivi. Investite in founder early-stage che sono già sul campo, costruendo soluzioni innovative per rendere il settore più inclusivo, sostenibile e rispettoso del clima».

Il discorso assume una sfumatura ulteriore di ironia se si considera che Travis Barker, batterista dei Blink-182, ha lanciato il proprio brand di beauty solo il giorno prima di Brad Pitt. Ma nel corso del 2022 i beauty brand lanciati dalle celebrità hanno raggiunto un numero spropositato. Kate Moss, Courtney Cox, Scarlett Johansson, Gwen Stefani, Hailey Bieber, Kim Kardashian, Naomi Watts, Alicia Keys, Idris Elba e consorte ed Harry Styles sono soltanto alcuni di questi brand, ma già negli scorsi anni alcune delle celebrità che hanno lanciato il proprio includono Machine Gun Kelly, Lil Yachty, Millie Bobbie Brown, David e Victoria Beckham (hanno fondato un brand a testa), Kirsten Bell, Naomi Osaka, Vanessa Hudgens e Billie Eilish. Senza voler parlare di saturazione del mercato, è chiaro che quando ogni settimana una celebrity che fino a poco prima si era occupata di altro lancia un prodotto di beauty dichiarando di avere scoperto la fonte della giovinezza, e quando star di ogni provenienza passano il tempo a fare dimostrazioni di creme e sieri come altrettanti piazzisti in una televendita, la fiducia del pubblico inizia a venire meno. Persino etichette come "sostenibile" o "genderless" ormai sono vuoti luoghi comuni pubblicitari: lo stesso linguaggio che circonda queste release, col suo fumoso lessico pubblicitario fatto di "rituali", di "vibe", di "mindset positivi" e "self-expression" suona ormai irrimediabilmente falso.

@iamdulma Reply to @baddestasf1 #rembeauty #arianagrande #itembeauty #addisonrae #skims #kkw #fentybeauty #kyliecosmetics #kyliejenner #rarebeauty original sound - Dulma

La spiegazione del perché questi brand vengono creati è in realtà semplice: un attore o un cantante che fonda il  proprio brand di beauty incassa i proventi delle vendite in maniera diretta, monetizzando un’influenza che invece nell’industria cinematografica e musicale viene sempre filtrata da agenti e produttori ed è basata su estenuanti press tour, prime cinematografiche e impegni sociali di ogni tipo. Non è un segreto, in effetti, che cantanti e artisti musicali, anche ai massimi livelli, debbano dividere i propri cachet con numerose figure che li promuovono e supportano e che molte celebrità, come ad esempio Gwyneth Paltrow, utilizzano l’industria del self-care come biglietto di uscita dalla volatile industria del cinema, dove un flop basta a stroncare una carriera, per assumere la più sicura e riposante posizione di founder di un brand di beauty che praticamente si vende da solo. Non è un caso, tra l'altro, che Brad Pitt abbia detto di essersi ispirato proprio alla ex-fidanzata Paltrow e al suo Goop per Le Domaine e, nel corso dell'estate, abbia detto a GQ di sentirsi giunto «all'ultimo tratto, il semestre o trimestre finale» della propria carriera chiarificando più tardi che non intende congedarsi dal cinema ma solo attuare una selezione più attenta dei film a cui prenderà parte. Anche Brad Pitt, dopo tutto, ha paura dei flop.

Il problema endemico del mercato però rimane la credibilità di questi beauty brand. L’esperta di beauty Dulma Altan ha detto a Business of Fashion: «Avrebbero fatto meglio a chiamare Brad investitore e magari a fare una campagna con lui come talent, senza dire che è uno dei fondatori», proprio perché vendere il brand come “il brand di Brad Pitt” lo relega in una categoria di mercato che gli esperti dell’industria guardano con crescente diffidenza. Per tornare invece all’opinione di Megan Felton: «Ogni anno vengono lanciati 12.000 marchi beauty. Questo non solo è uno spreco incredibile, ma è anche terribilmente disorientante e confusionario». A rendere tutto ciò un dilemma è il fatto che, se da un lato la sovrapproduzione di beauty brands rappresenta un enorme spreco di risorse in un mercato già grottescamente saturo, la questione riguarda il libero mercato: le celebrity lanciano questi brand perché possono e soprattutto perché il pubblico compra prodotti beauty in massa – il mercato è così ricco che persino Balmain con il suo direttore creativo Oliver Rousteing si sta espandendo nel settore, mentre Dolce & Gabbana hanno deciso di privatizzare il proprio business nel beauty eliminando le terze parti (lo stesso fanno Dior e Chanel) mentre alcune voci suggeriscono che Kering con tutti i suoi brand di beauty sia pronto a eliminare il sistema delle licenze e gestirli senza dividere la metaforica torta con i produttori.

Date queste premesse, dunque, la risoluzione della questione riposa nelle mani del pubblico: esistono già numerosi utenti su Twitter, ad esempio, che hanno dichiarato la propria sfiducia nei confronti dei brand delle celebrity, mentre la stragrande maggioranza dei consumatori sembra invece apprezzarli anche se, come alcuni argomentano, questi brand vengono comprati solo dai fan e sono solo una forma più costosa di merchandise. Stranamente, nessuno sembra credere che le celebrity in questione abbiano una vera o seria preparazione dermatologica, proprio come nessuno metterebbe sullo stesso piano i profumi di Paris Hilton con quelli di Frederic Malle e le creme di Valmont con quelle di Kylie Jenner. Eppure le vendite proseguono. Se davvero quella del beauty è una bolla, esploderà quando sarà troppo satura. Al momento, però, non lo sembra.