«Radicato nel territorio, stratificato nel tempo»: nel backstage dell’ultimo show di Ferrari
Il direttore creativo Rocco Iannone ci racconta la collezione SS23 del brand
29 Settembre 2022
Nick Leuze
«Da quando sono in Ferrari sto intraprendendo una sorta di viaggio», ha detto Rocco Iannone prima dello show milanese di Ferrari, il terzo da quando il brand si è espanso nella moda, e che è andato in scena domenica mattina al Teatro Lirico di Milano. «Il teatro è il luogo per eccellenza dove le storie vengono raccontate e fruite», ha spiegato Iannone, raccontando di come, per questa collezione, la componente umanistica del brand Ferrari, «radicato nel territorio e stratificato nel tempo», abbia avuto un peso uguale se non maggiore rispetto agli elementi strutturali e tecnologici, protagonisti dei primi due show del brand. «Quello che sto cercando di fare per la moda di Ferrari è creare un racconto dove ogni show aggiunge un capitolo. […] È un viaggio culturale all’interno delle varie ispirazioni che un brand così importante, così potente e così sfaccettato è in grado di offrire». In effetti, rispetto ai primi due outing, la collezione SS23 di Ferrari si è affidata meno alla logomania e più a silhouette e materiali puri, limitando i richiami al mondo automobilistico vero e proprio con la doppia presenza in passerella delle tute da racing di Carlos Sainz e Charles Leclerc la cui silhouette è stata trasformata in ulteriori tute che richiamano immediatamente il mondo della Formula 1 che, specialmente dopo il successo degli ultimi documentari Netflix, Iannone definisce «una piattaforma mediatica di grandissimo potere e carisma».
Proprio la Formula 1 rappresenta una interessante chiave di lettura della collezione, ispirata «all’universo emozionale» di Ferrari, alla cultura che circonda il brand di Maranello e «la dimensione del sogno inteso come raggiungimento, voglia di esprimersi, autoaffermazione». Proprio per questo la sfilata è stata aperta e chiusa da un fashion film girato da Floria Sigismondi, celeberrima videomaker che, nel suo cortometraggio girato a Los Angeles con protagonisti Alton Mason e Taylor Hill, ha volutamente raccontare una dimensione del brand astratta e immaginaria, fatta di colori e di sensazioni, che immortala «quella tensione che Enzo Ferrari provava dentro di sé quando, durante la seconda guerra mondiale, il mondo crollava intorno a lui che costruiva il suo motore in officina, imperterrito» e che Iannone sente ancora scorrere in tutte le persone che lavorano per il brand, dagli amministratori delegati fino agli operai. Il medium filmico, l’ambientazione losangelina e la dimensione del sogno portano poi nell’equazione l’elemento simbolico di Los Angeles, città che nasconde un doppio significato per Iannone: da un lato è «una città che accoglie il mix culturale e visivo di paesaggi e di situazioni» che domina tematicamente la collezione; dall’altro «è la città che più di tutte ci ha fatto sognare, grazie l’industria cinematografica, e che ha consentito a Ferrari di diventare l’icona che è. Perché Ferrari è un’icona anche grazie al cinema, il più potente mezzo di comunicazione che ancora oggi ci fa desiderare e sognare».
Proprio in omaggio a Los Angeles il motivo camouflage tanto caro a Iannone, che era in precedenza stato reinterpretato attraverso stampe remixate del Cavallino Ferrari, viene sostituito ora da un motivo di foglie di palma, connotato principale del panorama californiano, come anche dall’idea di luce (quella del sud della California è una delle migliori del mondo secondo Iannone) che è stata tradotta in termini di collezione in una serie di abiti apparsi sul finale a cui le foto non rendono giustizia: era un tessuto incredibilmente brillante in cui alle paillettes si univano bulloni e minute parte metalliche delle auto ricoperte di cristalli. «Non c’è tailoring, non c’è sportswear, non c’è un’etichetta. È una collezione in cui il guardaroba è perfettamente contaminato e risponde al look di oggi, alla nostra modalità di approcciare la moda – che non è una moda settoriale, non si manifesta nelle occasioni d’uso, ma una moda dove è tutto mescolato», spiega Iannone. In altri look della collezione il denim (uno dei quattro elementi materici portanti della collezione, oltre a cotone, pelle e seta) era stato rifinito e lucidato impiegando un trattamento all’ozono sostenibile e che solo una manifattura in tutta Italia era in grado di fornire, mentre alcuni elementi di piccola pelletteria erano ricavati dai ritagli di pelle in eccesso avanzati dalla lavorazione dei sedili delle auto.
L’elemento tecnologico, rispetto alle scorse stagioni, si attenua sia in accordo all’evoluzione tematica della collezione sia in base alla rigorosa filosofia di design di Iannone che chiarifica: «Non possiamo esimerci dall’introdurre la tecnologia ma a due condizioni: la prima che la tecnologia non sia un sopruso rispetto alla finalità dell’abito; il secondo è quello di agire sulla sostenibilità con un approccio radicale». Una filosofia che, insomma, pur considerando l’elemento tecnologico come una delle parti distintive dell’identità di Ferrari, non vuole trasformare quello stesso heritage in facile espediente. In altre parole: «Se la tecnologia mina la portabilità e l’immediatezza del capo diventa un esercizio sterile».
Più che le altre, questa è una collezione che guarda al futuro e mira a far reggere la moda di Ferrari sulle proprie gambe. Dopo tutto l’operazione è tanto promettente quanto ambiziosa: considerato l’immenso capitale culturale del brand, Ferrari rappresenta in pieno l’idea di un lusso cross-settoriale. «Quello che stiamo facendo adesso è costruire dei diversi paralleli a quello che è l’universo automobilistico, facendo in modo di emanciparli, di renderli credibili e di costruirli con costanza mattone dopo mattone», conclude Iannone. «Nel futuro spero che questo costruire intorno al brand arrivi al pubblico in maniera precisa attraverso una lente univoca, chiara in termini di valori e di immagine».