La narrativa queer di Marco Rambaldi e AC9
Crochet e piume per parlare di corpi
22 Settembre 2022
Stereotipi e pregiudizi, sentieri e opportunità, realtà e finzione: quella della e, la congiunzione che tende per sua natura a far convergere più cose su uno stesso piano di riflessione, è una storia di abusi verbali il più delle volte. Un po’ come negli ultimi anni si è fatto con la parola inclusività: vaghezza e rassicurazione sono stati le armi con cui questo termine ha scritto pagine di articoli e campagne di marketing, lasciando un grande vuoto in chi avrebbe voluto restituire un racconto più autentico a questa parola così disponibile al confronto. È quello che, a modo loro, Marco Rambaldi e AC9 hanno fatto durante questa Milano Fashion Week.
Laddove una narrativa queer ha fatto da sfondo agli immaginari estetici di entrambi i brand italiani, è stata la loro grammatica - drappeggi, movimenti, materiali e colori - a renderli profondamente diversi. Da Marco Rambaldi hanno sfilato modelli trans e di diverse taglie, mentre da AC9 il genere era una sorta di condanna da cui fuggire per poter esplorare liberamente le zone d’ombra dei corpi in generale. I colori, i cuori e il crochet sono il manifesto poetico con cui Rambaldi riflette su una forma di una dicotomia sentimentale che ha preso il nome di Odi et amo. Quelli che potrebbero sembrare dei capi presi dal set di Euphoria, in realtà, esprimono l’urgenza di mettere in chiaro questioni da troppo tempo rimandate. E, in un parco nella periferia di Milano (parco Industria Alfa Romeo) coperto da un cielo grigio, degli smartphone sono stati incastonati in una gonna in maglia celeste e bianca per fare (ri)emergere, forse, un senso di community di cui il fashion system è deficitario. Rambaldi è un designer che, pur essendo schiacciato da una concorrenza strutturale diffusa dai ritmi dei grandi gruppi e del fast fashion, è riuscito a crearsi un suo pubblico di riferimento non disposto a cedere al comfort dell’indifferenza.
Da AC9, invece, le atmosfere erano decisamente più drammatiche: nero, bianco e rosso sono state le tinte usate per rivestire i corpi di una potenza in grado di liberare i corpi dalla violenza soffocante degli stereotipi. Pizzi, tele, seta, tulle, satin, biolattice, perle, cristalli e piume hanno costruito silhouette rese significanti da decorativismi, vita bassa, spalle strutturate, gonne e abiti a sirena e una lingerie non sottomessa all’abbigliamento. Alfredo Cortese è un designer che, al pari di Marco Rambaldi, è passato da uno stadio di mentorship alla totale indipendenza creativa con un proprio marchio di moda. La SS23 di AC9 è stata una collezione in cui le piume, posizionate lungo la fronte a coprire gli occhi o lungo il petto per bendare il seno, esprimono il senso della tensione che i corpi, nella loro continua e ossessiva riproposizione estetica, si ritrovano continuamente a vivere. La sensualità raccontata dai corpi messi in scena da AC9 è una drammatica rivendicazione traslitterata in una carnalità incubata dal padre adottivo di Cortese, Alessandro dell’Acqua. Le collezioni di Marco Rambaldi e di AC9 non fanno che tessere i filamenti di un manifesto di resistenza nei confronti di un lusso mainstream che tende alla narrazione di una mascherata forma di oppressione invece che a una pura forma di liberazione ed espressione individuale. Non c’è match che tenga tra chi, inutile sottolinearlo, lavora sull'idea di congiunzione.