Nel 2022 i direttori creativi devono essere anche degli influencer
Non tecnici, ma frontmen
12 Settembre 2022
La moda nel 2022 riguarda sì i prodotti, ma ancora di più la cultura. Se un secolo fa un brand doveva affermare la sua supremazia solo attraverso la propria eccellenza tecnica (pensate a quanti brand di moda odierni, ad esempio, nascono come produttori di valigie o di scarpe) oggi ciò che conta è ciò che potremmo definire il “capitale culturale” o, in altri termini, l’identità che il direttore creativo può portare in una determinata casa di moda. Secondo WWD, la questione si traduce in un’unione di tre fattori: «Le case di moda sono sempre più alla ricerca di leader creativi che abbiano l'attenzione di internet, un network creativo invidiabile e la capacità di ispirare la propria community». In altre parole, un direttore creativo non può più essere un mero tecnico ma deve diventare una sorta di storyteller in cui, alla skill pratica, si unisca anche carisma e capacità comunicative. Esempio perfetto di questo processo è la nomina di Maximilian Davis alla guida di Salvatore Ferragamo: là dove la reputazione del brand si arresta, interviene la personalità e il carisma del direttore creativo che promette implicitamente di raccoglierne il patrimonio e di fornire una visione e uno storytelling propri che lo riposizionino nuovamente sotto i riflettori. È chiaro che questo tipo di influenza è per lo più immateriale, ma si può contabilizzare tramite le metriche social e la fama che un certo designer ha saputo conquistarsi nelle prime fasi della sua carriera. Prima della nomina da Salvatore Ferragamo, ad esempio, Davis era diventato il designer più promettente della London Fashion Week e aveva conquistato un’autorità e una rilevanza resi ancora più eccitanti dal suo status di giovane creativo emergente.
L’esperta Floriane de Saint-Pierre, intervistata da WWD, parla ad esempio di «economia dell’attenzione»: maggiore è il seguito di fan che un direttore creativo si porta dietro, maggiore potere di scambio possiederà quel direttore creativo. Per quanto oggettivamente brava, Clare Waight Keller non fu in grado a suo tempo di portare su Givenchy il buzz mediatico e l’aura di coolness che Matthew Williams, un autodidatta, è stato in grado di portare al brand. Lo stesso vale anche Benjamin A. Huseby e Serhat Işık, la cui nomina a direttori creativi di Trussardi è uno degli onori e delle opportunità raccolte grazie al trionfo della propria label GmbH. È chiaro che gli inventori della versione moderna di questo format sono Kanye West e Virgil Abloh. Collaborando con Kanye e il suo Yeezy, ad esempio, adidas è riuscito a guadagnare 1,7 miliardi di dollari nel solo 2021 – una performance del tutto imperniata sulla figura centrale di Kanye che si è ripetuta, con alti e bassi, anche per Gap. Né sorprende che nelle ultime settimane due mega-influencer come Gigi Hadid e Elsa Hosk abbiano inaugurato i propri brand di lusso andati immediatamente sold-out. Altro esempio di binomio designer/brand value è Gabriela Hearst. Al di là del proprio stile di design, il nome della direttrice creativa uruguayana è diventato una specie di marchio di garanzia per la sostenibilità delle collezioni prodotte sotto la sua guida. È una nozione che precede addirittura l’esistenza del prodotto: se Gabriela Hearst ci ha messo mano, allora il prodotto è sostenibile – dopo tutto è sotto di lei che Chloè ha ottenuto la certificazione B Corp.
Se Kanye West è un esempio di personalità che possiede una base di clienti propria, un “seguito” leale che si traducono in vendite assicurate; Gabriela Hearst invece, come anche il nuovo direttore di Off-White Ib Kamara, Maximilian Davies o Glenn Martens per Diesel, sono i catalizzatori del riposizionamento del brand e «la voce della società contemporanea». Martine Rose e Telfar Clemens sono due esempi di designer che diventano la voce di una community mentre, sul piano dello storytelling,la performance commerciale di Jacquemus è praticamente indistricabile dalla vita privata del suo designer, al punto che il brand e l’uomo esistono senza soluzione di continuità tra loro. Visibilità e unicità del messaggio sono dunque i nuovi parametri da preventivare nella scelta di un nuovo direttore creativo – e spesso va bene anche il grado di visibilità di un certo designer, se si pensa a quanto i pettegolezzi sulla prossima nomina del chiaccheratissimo Daniel Lee stiano furiosamente circolando negli ambienti della moda in queste settimane. Dovunque Lee andrà, lì si concentrerà l'attenzione dell'intera industria. In termini più semplici si potrebbe parlare di “identità distintiva” ma in verità è che nel 2022 i brand hanno bisogno di frontman carismatici e non di tecnici specializzati – in un mondo dominato dall’economia dell’attenzione, il prestigio e la fama del nome sulla porta è la principale assicurazione del successo o del fallimento di un brand.