La mania dei dupes sta distruggendo il pianeta
Il trend che tiene in vita il fast fashion
05 Settembre 2022
Con un miliardo e mezzo di views, l’hashtag #dupe su TikTok può tranquillamente essere preso come il segnale di una nuova abitudine di acquisto della Gen Z. Nuova si fa per dire, dato che i consigli sui surrogati, le imitazioni e le alternative agli abiti di design e ai profumi di lusso esistono praticamente da sempre e TikTok è solo un canale più trendy attraverso cui trasmettere consigli e suggerimenti prima trasmessi attraverso il passaparola o i forum online. Unica novità rispetto al passato è che i cercatori di dupe di oggi hanno a disposizione la vastità di internet oltre che le location retail fisiche dove trovare le proprie imitazioni. Esistono tre tipi di dupe per quanto riguarda l’abbigliamento: il primo tipo è quello dei brand di fast fashion, come nel caso dei mocassini con suola a carrarmato di H&M che somigliano a quelli di Gucci o di Prada; il secondo tipo sono le imitazioni di brand di moda più economici che non sono necessariamente fast fashion e hanno in media qualità altalenanti; il terzo tipo sono i fake veri e propri, comprati su DHgate.com e AliExpress ma anche attraverso altre location. Considerato che i fake come borse di Dior o di Louis Vuitton o le Jordan 1 costituiscono una categoria a sé stante di cui si è già discusso in altri articoli (spoiler: disapproviamo), c’è una considerazione in più da fare per quanto riguarda le prime due categorie – e cioè che fanno male all’ambiente.
La mania dei dupes che si vede su TikTok è il sintomo di una malattia: l’industria della moda, della profumeria e del beauty continuano a pubblicizzare prodotti mirati alla Gen Z, ricco e importante bacino di acquirenti presenti e futuri che sono più spinti e spesso più motivati a investire i propri soldi in beni voluttuari e che entro qualche anno costituiranno una importante fetta del mercato. La Gen Z è di per sé molto propensa a comprare, come si diceva, ma non possiede il potere d’acquisto necessario a comprare dei prodotti dai prezzi spesso gonfiati e ricorre dunque ai dupes. Borse di Target che sostituiscono quelle di Prada, stivali di Monki ricalcano da vicino i concept di quelli di Bottega Veneta o Versace, versioni in PVC degli stivali di Celine e Saint Laurent o degli slip-on di JW Anderson popolano ASOS, imitazioni dei Moon Boot vengono targate da H&M, una borsa di Ego Shoes da 50€ riproduce la Cagole di Balenciaga ma fatta in ecopelle – si dice molto di come la moda sia piena di sprechi, ma più o meno ogni volta che uno di questi dupe fatto di plastica viene comprato e trasportato fino alla porta di un giovane acquirente un albero muore. Le cose peggiorano quando si scende ulteriormente in questo inferno di pelle sintetica ed etichette “Made in China” trovando utenti che cercano su Shein i dupe di Zara che sono a loro volta dupe di altri prodotti di lusso. La parte migliore di tutto il trend è che in virtualmente tutte le sezioni commenti dei video in cui appaiono questi dupe c’è qualcuno che dice, con grande dispendio di emoji lacrimose, che dopo due mesi di uso l’abito o scarpa in questione è prevedibilmente caduto a pezzi.
A wardrobe full of trash, cheap clothes really is not the answer and cannot be instilling the proper confidence or setting up healthy relationships with our bodies and image.
— Syreeta C | Fashion (@SyreetaCFashion) August 26, 2022
E per quanto la ricerca di prodotti meno costosi come alternativa a prodotti popolari ma molto costosi sia qualcosa di del tutto legittimo, va comunque riconosciuto che il trend dei dupe su TikTok glorifica inutilmente un lato dell’industria dell’abbigliamento e del beauty che è per sua natura inquinante, aumentando enormemente gli sprechi e mettendo in una luce positiva un modello di consumo fondamentalmente malsano. È chiaro che la responsabilità di tutto questo processo non ricade esclusivamente sui consumatori ma anche sulle politiche di marketing e di pricing dei brand di lusso oltre che su una nozione sempre più confusionaria del concetto di “qualità” in base alla quale certi prodotti che hanno una posizione molto media sul mercato (pensiamo ai piccoli brand Made in Italy di prezzo contenuto che impiegano buoni materiali nella costruzione dei propri prodotti) possiedono una longevità e una qualità quasi identiche a quelle di alcuni prodotti posizionati più in alto. La chiave di tutto sta nell’educazione del consumatore finale che, se intende lanciarsi in una liberatoria shopping spree, dovrebbe come minimo farlo armato del senso critico necessario a distinguere tra prodotti di effettiva qualità che durino per più tempo e siano fatti di materiali organici o comunque più resistenti e i pezzi di plastica che tra un anno saranno diventati spazzatura e finiranno per inquinare ulteriormente il nostro pianeta.