Altre 5 direzioni creative che avevamo dimenticato
Frida Giannini regina di Gucci, Raf Simons Re Mida da Jil Sander. Alla (ri)scoperta di laison fashion da ricordare
29 Agosto 2022
Dopo la prima puntata del format dedicato al racconto delle direzioni creative dimenticate ma indimenticabili, nss magazine continua il viaggio negli archivi e negli show delle maison di moda più famose e celebrate. Per comprendere come i passaggi di consegne, gli avvicendamenti, gli scambi creativi siano all'ordine del giorno per un'industria che trova nel cambiamento una delle sue ragioni di vita. Pronti a spulciare il CV dei designer più apprezzati?
Frida Giannini da Gucci (2002-2015)
Prima di Alessandro Michele e Marco Bizzarri c'era un'altra power couple al vertice di Gucci: Frida Giannini come direttrice creativa e Patrizio Di Marco, suo compagno anche nella vita, come CEO. Sotto la guida di Giannini, Gucci attraversa uno dei periodi più fiorenti e prosperi della sua storia. Dopo l'esperienza da Fendi, Frida Giannini approdò alla maison toscana come Handbag Design Director (leggenda vuole che le borse Gucci da lei disegnate andassero a ruba anche tra le dipendenti del brand). Nel 2005 assume il ruolo di direttore creativo per la linea femminile e gli accessori, a cui si aggiungerà poco tempo dopo anche la collezione maschile. Vista la sua formazione, Giannini riserva grande importanza agli accessori e alla pelletteria: sotto la sua direzione le borse Bamboo e Jackie trovano nuova spinta creativa e commerciale; il morsetto, simbolo assoluto dell'universo Gucci, tornò ad apparire con insistenza su stivali da equitazione, mocassini e capi d'abbigliamento. Giannini rispolvera e rende protagonista il motivo Flora, inizialmente creato nel 1966 per la Principessa Grace di Monaco, che diventa un pattern ultra riconoscibile per la maison, declinato su abiti, accessori e fragranze, che trainano profitti da capogiro. La donna Gucci secondo Frida Giannini è glam, opulenta senza essere eccessiva, sensuale senza raggiungere i livelli di Tom Ford, racconta un lusso che non ha paura di mostrarsi e farsi notare, fatto di sfumature forti, sovrapposizioni e accostamenti arditi. Un'estetica molto lontana da quella che il suo successore, Alessandro Michele, avrebbe in seguito instillato nel marchio.
Stefano Pilati da Yves Saint Laurent (2004-2012)
Dopo aver lavorato a stretto contatto con Miuccia Prada da Miu Miu, Stefano Pilati arriva da YSL nel 2000, come responsabili stilistico della linea ready-to-wear femminile. Quando, quattro anni più tardi, Tom Ford lascia il brand, è il designer italiano a prendere il suo posto, diventandone direttore creativo. Pilati instaura un'estetica molto femminile, decisa e contemporanea, che piace talmente tanto al pubblico che sotto la sua guida, la maison è in grado di risanare un debito di oltre 75 milioni di euro, registrando una crescita del 30%. Gli abiti di Pilati sono semplici, portabili, strutturati, interessanti senza risultare concettuali, e per questo vendono. Tra le sue creazioni più famose, la tulip skirt, la borsa Muse, fotografatissima in mano alle celeb, e il sandalo YSL Tribute, ancora oggi una delle calzature di punta della maison. Nel 2012 Pilati lasciò YSL grazie ad un'offerta di Ermenegildo Zegna, e a sostituirlo venne chiamato un certo Hedi Slimane.
Raf Simons da Jil Sander (2005-2012)
Nel 2005, Raf Simons era un designer belga non particolarmente conosciuto, con all'attivo un brand omonimo e una seconda linea, Raf by Raf Simons, da poco avviata. Immaginate allora la reazione dell'industria della moda all'annuncio del gruppo Prada, che all'epoca controllava Jil Sander, che il successore della leggendaria stilistica tedesca sarebbe stato questo giovane creativo, che - è importante sottolinearlo - non aveva mai disegnato abiti da donna. Prada aveva però ritrovato una certa affinità estetica tra Sander e Simons, e apprezzava in particolare la capacità del suo futuro direttore creativo di disegnare completi sartoriali, in quel momento marchio di fabbrica (e prodotto più venduto) di Jil Sander. Dopo un paio di stagioni di assestamento, nel 2007 è Cathy Horyn a consacrare Simons, definendo la sua ultima collezione perfetta. In continuo dialogo con l'archivio della maison, contrapponendo a silhouette storiche innovazioni continue, Simons diede forma ad un immaginario fatto di abiti monocromatici, color blocking, silhouette morbide, gonne col peplo e cappotti a uovo. La donna Jil Sander era intellettuale, sensuale, antesignana di un certo quiet luxury ritrovabile ancora oggi. Con grande rammarico di fan, clientela e addetti ai lavori, Simons lasciò la maison nel 2012, per continuare parte di quella riflessione estetica da Dior.
Phoebe Philo da Chloé (2001-2006)
Nello scorso episodio, avevamo lasciato Stella McCartney, subentrata a Karl Lagerfeld, alla guida di Chloé, al tempo il brand d'elezione per celeb sulla cresta dell'onda e per un pubblico di giovanissime. Assistente di McCartney e sua erede designata era Phoebe Philo, che prese le redini della maison nel 2001. Sotto la sua guida, Chloé continua la sua crescita inarrestabile, grazie ad un immaginario ultra femminile, romantico e al contempo concreto, profondamente Brit e con un certo richiamo agli anni Settanta. La stilista antidiva per antonomasia introdusse la prima collezione di borse della maison, che trovò nell'It Bag Paddington, caratterizzata da un maxi lucchetto frontale, un best seller assoluto, con liste d'attesa infinite. La stampa con le banane, proposta in passerella nel 2004, diventa un classico immediato. Phoebe Philo fu la prima designer ad andare in maternità, lasciando che fosse il suo design team a fare l'inchino finale in sua assenza, mostrando fin da subito una certa tendenza a stabilire dei confini netti (e inediti) tra lavoro e vita privata. Con i suoi tempi, e il tocco da Re Mida, avrebbe poi rivoluzionato Céline.
Kris van Assche da Dior Homme (2007-2018)
Fu un regno lunghissimo e molto florido quello del designer belga alla guida di Dior Homme. Formatosi sotto l'ala protettrice di Hedi Slimane, van Assche fu pioniere di trend ed estetiche oggi parte integrante del tessuto della moda. Le sue collezioni erano il risultato di un dialogo continuo tra correnti musicali, sottoculture e film. Grazie a lui in passerella si incontrano completi sartoriali, sempre rigorosamente slim, e sneaker. Dior Homme parla alle generazioni più giovani, le invita a sperimentare, si rivolge ad essere attraverso le campagne pubblicitarie con protagonisti Robert Pattinson e A$AP Rocky, per loro costruisce uno skate park come set di una sfilata. Nel corso di undici anni, Kris van Assche cementò un universo solido, riconoscibile, moderno e fluido, senza il quale il lavoro di Kim Jones non avrebbe avuto senso.