Quando Prada acquisì Helmut Lang
Uno dei primi passi verso la creazione di un grande gruppo del lusso italiano, un'operazione poi fallita
07 Settembre 2022
La discussione sulla nascita e gli eventuali vantaggi di un super gruppo del lusso italiano si trascina ormai da anni, con punti di vista contrastanti. Mentre Diego Della Valle di Tod's ritiene il progetto fuori tempo massimo, Renzo Rosso di OTB si dice molto meno pessimista, portando avanti un progetto simile a quello, riuscitissimo, dei cugini d'oltralpe. Nel mezzo la famiglia Agnelli e i tentativi (smentiti) di una scalata della maison Armani e le dichiarazioni di Remo Ruffini di Moncler, che si è detto non interessato a nuove acquisizioni. Se oggi potenze come LVMH e Kering sembrano dei concorrenti imbattibili, tra la fine degli anni Novanta e l'inizio dei Duemila, il progetto di un conglomerato del del lusso in Italia è sembrato possibile. Grazie a Prada e Patrizio Bertelli.
Il momento era propizio, il meccanismo ormai codificato: le maison più grandi erano solite acquisire realtà emergenti (spesso per una somma superiore al valore di mercato del brand), puntando su marchi con buoni profitti e un pubblico di riferimento. L'obiettivo finale era l'espansione, a livello di prodotto, dunque di guadagno, e di immagine. I piani che Prada aveva per Helmut Lang non sono andati esattamente così.
Con il brand eponimo fondato nel 1986 a Parigi, Helmut Lang, stilista autodidatta, aveva creato una label unica nel suo genere, dalle forti influenze culturali e pioniera di molto di ciò che definisce il sistema moda oggi. La definizione più usata per definire l'estetica di Lang è minimalismo, fatto di tagli rigorosi, linee essenziali, ma anche tessuti hi-tech e ricerca continua sui materiali. Gli show, riservati ad una cerchia strettissima di invitati, si svolgevano su passerelle spoglie, su cui le modelle camminavano quasi senza trucco. Espressione massima dell'universo Lang erano i negozi monomarca, sparsi tra New York, Hong Kong, Parigi e Mosca, concept store in cui la moda incontrava l'arte. Lang fu il primo a trasmettere in diretta streaming uno show, a proporre delle sfilate co-ed, a lanciare online i propri prodotti, ad anticipare talmente tanto il proprio show da cambiare per sempre il calendario della NYFW. Lang fu in grado di creare un brand di culto, seguito da un pubblico di fedelissimi, che permise al brand, nel picco della sua fama, di vantare un giro di affari da 100$ milioni.
Agli occhi del gruppo Prada non c'era dunque bersaglio migliore, più adatto o affine, per gettare il primo mattone nella costruzione di un grande gruppo del lusso. Nel 1999 l'azienda guidata da Patrizio Bertelli acquisì il 51% del brand Helmut Lang, e quattro anni più tardi, il restante 49%. Il piano di Prada era chiaro: espandere il marchio il più possibile, sia a livello di distribuzione, aumentando i canali di vendita, sia di prodotto, introducendo più accessori. Lo scontro tra Lang e Bertelli avrebbe riguardato proprio il controllo creativo del designer, contrario al merchandising delle collezioni e che avrebbe preteso voce in capitolo sulla creazione di ogni item.
"La devozione di Lang alla purezza creativa è un lusso che gli stilisti non si possono più permettere, almeno non quelli che lavorano all'interno di una grande azienda del lusso. L'approccio altamente intellettuale di Lang, secondo le persone che hanno lavorato con lui, è stato spesso in contrasto con quello di Bertelli, descritto come un uomo d'affari intenso e intransigente, dedito a migliorare le prestazioni dei marchi acquisiti da Prada durante la campagna di acquisizioni alla fine degli anni Novanta", scrisse a questo proposito Eric Wilson sul New York Times.
Nel 2005 Helmut Lang lasciò per sempre la direzione creativa della maison da lui fondata, ritirandosi dalle scene. "Due questioni sembrano essere alla base dell'addio di Lang: la difficoltà di costruire un'azienda prospera in un mondo saturo di brand e i problemi che si incontrano quando un designer indipendente e individualista deve imparare a lavorare in una cultura aziendale", rivelò in merito Suzy Menkes nel 2005. Di fatto, l'acquisizione da parte di Prada coincise con un declino economico senza precedenti per Helmut Lang, che passò da un fatturato di 46,3$ milioni nel 2001 ai 24,8$ nel 2004. L'idea di proseguire senza lo stilista austriaco, inoltre, gettò molti retailer nel panico, tanto da rinunciare al marchio. "Helmut Lang è insostituibile. È il tipo di stilista che non può essere rimpiazzato da un team. È una persona, non un marchio", dichiarò Kal Ruttenstein, direttore moda di Bloomingdale's.
Dopo uno shopping seriale che aveva causato l'allontanamento di un altro designer dal suo stesso brand, Jil Sander, il gruppo Prada decise di concentrarsi su suoi marchi "autoctoni", Prada e Miu Miu, scegliendo di cedere Helmut Lang al gruppo giapponese Link Theory Holdings, che nel 2007 rilanciò il marchio con uno spirito, e un successo, completamente diversi. Lo scorso anno, intervistato al Milano Fashion Global Summit, Patrizio Bertelli è tornato sul tema delle holding di lusso in Italia, ammettendo che degli errori sono stati fatti, a livello di sistema, persone e tempistiche. "Abbiamo sbagliato a lasciare loro la gestione di aspetti come le questioni finanziarie e di distribuzione. Nelle acquisizioni non si fa così. [...] Fin qui abbiamo pagato un certo individualismo degli imprenditori, per questo è importante che certi processi rimangano una questione di aggregazione industriale e non di dominio personale, come lo percepisce qualcuno".
Quasi vent'anni dopo, la questione resta attuale, e riaccende il dibattito sull'eterno scontro tra creatività pura e redditività, due perni centrali dell'industria della moda, spesso in netto contrasto. In attesa di scoprire quali saranno i prossimi marchi emergenti ad essere assorbiti da inarrestabili giganti del lusso.