Quando Fendi di Karl Lagerfeld era un hub creativo
Maria Grazia Chiuri, Pier Paolo Piccioli e Alessandro Michele vicini di stanza
12 Agosto 2022
Stabilire se alla base delle grandi case di moda ci sia l'expertise di un team perfettamente strutturato al suo interno o, piuttosto, l’ego ridondante di direttori creativi chiaramente presi da altro, può essere problematico: a cosa è dovuto il successo di un brand? C’è stato un periodo in cui, in una Roma tanto contraddittoria quanto ospitale, negli uffici di Fendi sedevano vicini Karl Lagerfeld, Silvia Venturini, Alessandro Michele, Pier Paolo Piccioli e Maria Grazia Chiuri. Siamo nella metà degli anni ’90 quando Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli lavoravano insieme nel reparto accessori di Fendi, sotto la diretta guida del Kaiser della moda. In un'intervista a D La Repubblica Piccioli ha raccontato il suo primo incontro con La Chiuri incaricata di andarlo a prendere in stazione a Roma al posto di un amico, mentre teneva in mano un cartello con il suo nome per farsi riconoscere: «Lei indossava un paio di jeans e una T-shirt bianca“, e Pier Paolo subito avverte “una sorta di connessione, un sesto senso invisibile, con lei».
Il dipartimento di accessori di casa Fendi era diventato la culla di una comunità di designer che, di lì a poco, avrebbe cambiato le carte in regola del sistema moda. Il divismo, quello che Karl Lagerfeld esibiva in nome di un talento troppo frettolosamente ridotto a impulso di ostentare, andava ad alimentare direttamente i moodboard dei suoi adepti. «In Fendi c’è uno spirito familiare, non ci sono regole rigide, nessuno ha paura di parlare e si portano avanti idee con libertà d’espressione. Karl fa parte del DNA di Fendi. Con lui basta un’occhiata per capirci al volo» aveva fieramente dichiarato Silvia Venturini. Di quel DNA ancora poco strutturato, avrebbe poi trovato un’inaspettata compatibilità Alessandro Michele sul finire degli anni ’90. Il 1997 è d'altronde l’anno del lancio della Baguette, l’iconica borsa di Fendi che avrebbe per sempre ridefinito l’immaginario degli accessori. Maria Grazia Chiuri, Pier Paolo Piccioli e Alessandro Michele sono stati segnati dall’esperienza di aver vissuto uno stato di privilegio creativo - parlare di gavetta è forse poco incisivo - che gli ha dato la possibilità di sentirsi parte integrante di una delle direzioni più significative dellai moda. Se le combinazioni insolite e gli ensemble stilistici di Anna Piaggi erano una delle tante ispirazioni di Karl Lagerfeld, Alessandro Michele - soprannominato il dj dal kaiser per via dell’abitudine di tenere la musica ad alto volume - deve proprio a uno dei suoi padri adottivi la lezione secondo cui «la creatività non è una cosa stabile, ma libera».
Karl Lagerfeld called young Alessandro Michele “DJ” while he was at Fendi because Alessandro would always play loud music!
— ideservecouture (@ideservecouture) July 18, 2022
Tralasciando forme di mitizzazione - il kaiser ne era chiaramente un esperto - da cui ci si potrebbe fare tentare immaginando un contesto in cui, secondo il teorema di una proprietà transitiva piuttosto ottimista, respirare la stessa aria di Karl Lagerfeld avrebbe automaticamente fatto vantaggio al suo team, è piuttosto realistico pensare alla trasmissione di un inconfondibile know how. Un know how che non ha soltanto modellato l’approccio di Pier Paolo e di Maria Grazia Chiuri, ma che ha saputo accogliere anche altri nomi della moda: Giambattista Valli, Marco de Vincenzo, Sergio Zambon, Anthony Vaccarello e Frida Giannini hanno tutti affinato delle specifiche aree di competenza da Fendi. Immaginare le pellicce che attualmente popolano le collezioni di Vaccarello da Saint Laurent - Karl Lagerfeld ne aveva quasi scritto un compendio da Fendi - o la capacità con cui Frida Giannini aveva rilanciato gli accessori da Gucci dopo Tom Ford può forse lasciare intuire cosa possa significare per un giovane designer avere alle spalle la solidità di una figura creativa orientata al successo. Fendi è stato uno degli esempi più concreti di una mentorship illuminata all’interno di un sistema che, ora, si trova a fare i conti con una schiera di aspiranti designer più o meno consapevoli delle difficoltà correlate alle probabilità di emergere sulla scena creativa. Persino figure come Kanye West e Virgil Abloh, nel 2009, sono entrati in stage da Fendi. Ma questa è un’altra storia.