Perché la salopette non è mai passata di moda
Dalle passerelle delle Fashion Week agli armadi di mezzo mondo
30 Giugno 2022
Mai come durante questi ultimi due anni - lo spartiacque è quasi senza dubbio la pandemia - la moda è stata così sperimentale e contraddittoria, soprattutto nel menswear. Se da un lato i centimetri di pelle scoperta hanno lasciato ben poco all’immaginazione, dall’altra c’è stata una revisione del classico confinante con l’austerità. Di mezzo c’è quel delicato passaggio che ha visto lo switch dalle estetiche e silhouette ora disinvolte, ora tormentate degli anni ’90 a quelle decisamente più leggere e striminzite dei primi anni 2000. Crop top, cut out, vita bassa ma anche riappropriazione delle uniformi. Da qui, per esempio, il recupero di elementi workwear come la salopette.
Nata alla fine del XVIII secolo, la salopette è stata creata come indumento utility, diventato poi prodotto in serie di Levi Strauss nel 1873. Da allora, in quasi 150 anni, l'indumento ha mantenuto il suo valore funzionale connesso alla sfera del lavoro, ma contemporaneamente ha iniziato a circolare all’interno della cultura pop e della moda come item per donne e bambini. La indossava Lady Diana, con quella sua naturale disinvoltura che le permetteva di passare dallo sportswear al revenge dress che l’ha resa ancora più appetibile alla stampa mondiale. Le ha dato una chance anche l’attrice Sarah Michelle Gellar, icona degli anni ’90, quelli in cui la salopette spopolava in serie tv come Friends, il Principe di di Bel-Air o Sex and the City tanto che nel 1994 il New York Times ne parlava come della «migliore alleata della moda». Non che le celeb maschili non ne abbiano fatto uso: se un giovane quanto sexy Brad Pitt esprimeva l’appeal della salopette in denim su pelle, Chris Pine ne ha dimostrato gran parte della sua potenzialità a cavallo tra utilty e coolness. Coolness che, inevitabilmente, è stata sviscerata lungo le passerelle cavalcate da quei brand e designer ossessionati dal tema delle uniformi.
Prada ne ha esplorato il design nella collezione SS22 menswear, giungendo a una decodificazione dell’erotico e del naïf che ha trovato una linea espressiva in salopette bianche arrotolate sulle gambe. Eppure, gran parte dell’estetica segnata dalle salopette attinge a un immaginario che è quello del gorpcore. Gucci ne aveva lanciato una versione esclusiva in collaborazione con The North Face, andata sold out nel giro di pochissimo tempo. E, con molta probabilità, quelle proposte da Dior Men con la collezione SS23 subiranno la stessa sorte: Kim Jones le ha presentate in una palette cromatica affine all’estetica soft boy, indirizzandole verso un’accezione chiaramente genderless. Tutt’altra la direzione intrapresa da JW Anderson che, con lo show FW22, ha provato a dare voce a una tensione narrativa frutto di una riflessione sulla mascolinità: partendo dai dettami dell’estetica metrosexual, quella più o meno consapevolmente battuta da calciatori come David Beckham o Cristiano Ronaldo, Anderson ha deformato centimetri di stoffa rendendo i capi “strani”: la sua salopette è corta, aderente e monospalla. Diversa ancora quella di Jacquemus che, in una chiave di lettura sicuramente meno complicata, si è tinta di fucsia, glamour e commerciabilità. Se infatti nella moda è possibile rintracciare diverse famiglie di brand, accomunate da scenari spesso sovrapponibili, la stesso discorso può essere esteso ad un item come la salopette: a seconda del marchio di riferimento si carica di colori, significati e tessuti che ne possono esprimere l'indiscusso appeal.