Le Tabi di Margiela sono diventate mainstream?
Risposta breve, sì
23 Giugno 2022
Carrie Bradshaw aveva la fissa per le Manolo Blahnik, Blair Waldorf per le Louboutin. E, per un paradosso tutto moderno, Cardi B può ergersi a cultrice dell’estetica ugly chic con indosso un paio di Tabi di Maison Margiela mentre è intenta a fare shopping. Proprio lei che ha fatto dei look bold, provocanti e sexy - i più distanti dalla sperimentazione lontana dai riflettori di un brand come Maison Margiela - la sua cifra stilistica. Modello straordinariamente cult ispirato al design giapponese, è noto per essere esteticamente controverso: pur essendo fedeli ad una corrente che ha fatto della bruttezza il suo riconoscibile manifesto poetico, le Tabi hanno raggiunto un appeal difficilmente equiparabile. Sono state per decenni l’accessorio feticcio di fashion editor, stylist o creative director alle prese con editoriali, magazine e shooting legati al settore.
Erano il minimo comune denominatore di un mondo fatto di sottili citazioni, codici e reference che sancivano l'appartenenza ad una precisa setta di devoti adepti alla moda. E di strada, dal 1988, ne hanno fatta. Imprevisto, forse inatteso, l’appeal ultimamente riscontrato su piattaforme digitali da parte di nuove comunità sempre più coinvolte dalla tematica moda. Processo in parte alimentato da serie tv mainstream come Emily in Paris che ha contribuito allo sdoganamento delle Tabi, fatto sta che la moda di nicchia sta vivendo una fase di particolare interesse. Le Tabi sono diventate così oggetto di culto di una nutrita schiera di TikToker intenta ad approfondire la storia delle iconiche scarpe che separano il pollice dal resto delle dita del piede. È proprio la distanza però a costituire il punto focale di questa discussione: le Tabi sono passate dall’essere percepite come un esperimento di esegesi vestimentaria a oggetto must have per un pubblico più ampio. A prescindere dal proprio background culturale e da qualsiasi implicazione di questo genere, le Tabi hanno perso parte della loro purezza originaria. O, molto più realisticamente, potrebbe trattarsi di un problema essenzialmente generazionale: da una parte quella nicchia old school, alimentata dalla mitologia delle interviste non concesse da Martin Margiela per cui vedere le Tabi su un adoloscente o una celeb dal piglio pop assume i connotati di una vera e propria eresia, dall’altra la libera esplorazione personale delle nuove generazioni.
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Allergica all’idea di subire passivamente i trend dall’alto di passerelle e show, la Gen Z sta mostrando un'irrequietudine che mal si concilia con l’effetto trickle-down. Le Tabi, così come i boots di Rick Owens o i capi di Comme des Garçons, non sono altro che un pretesto per sentirsi liberi di toccare da vicino ciò che prima si riteneva sostanzialmente intoccabile. Che si tratti di replicare la Margiela Kiss shirt o di prendere parte a svendite per potersi accaparrare le Tabi a prezzi decisamente ridotti, è proprio la possibilità di attingere ad un immaginario diverso a stimolare la curiosità dei più giovani. Non che ai brand di nicchia e ai designer possa dispiacere l’idea di raggiungere fette di mercato sempre più ampie - Maison Margiela ha persino lanciato una collabo con Reebok nel 2020 e nel 2021 - in fondo stiamo sempre parlando di un’industria che sfrutta la creatività per farne un business. Grazie a sponsorizzazioni massive e partnership con celeb, il bacino di utenza di molti brand di nicchia si è notevolmente esteso. Ma al netto di una community certamente più numerosa, è molto probabile che il core business di questi marchi rimarrà sempre e comunque la nicchia. Anche perché, in realtà, succede che i fan si fidelizzano ancora di più nel momento in cui i loro designer preferiti diventano mainstream, dimostrando di essere cultori del brand da tempi non sospetti. È piuttosto un cambiamento di paradigma nella percezione dell’ esclusività che si ha di un brand in un momento storico in cui, peraltro, il concetto di lusso viene continuamente ribaltato per arrivare dritto al cuore delle masse.