5 brand che riciclano materiali di scarto per produrre nuovi capi
Il riciclo della polvere di marmo, degli scarti agricoli e del denim vintage
05 Giugno 2022
Negli ultimi anni la spinta alla sostenibilità ambientale dei brand è passata attraverso il riuso creativo di oggetti che prima avevano tutt’altra funzione (upcycling) oppure attraverso la trasformazione di materiali di scarto in capi completamente nuovi (recycling). Se Maison Margiela si è contraddistinta ampiamente - e in tempi non sospetti - come esempio del primo procedimento, le idee imprenditoriali dei founder di alcuni virtuosi brand sono riuscite a trasformare i materiali di scarto più distanti dal mondo tessile in sneaker e felpe rispettose dell’ambiente.
Il marmo di Fili Pari
Gli impermeabili, i capispalla e gli accessori di Fili Pari, una startup fashion-tech fondata da due alumnae del Politecnico di Milano, sono realizzati con la polvere di marmo. Nello specifico, il brand utilizza prodotti e sottoprodotti delle industrie della pietra italiana. Lo stesso materiale di cui è fatto il maestoso capolavoro michelangiolesco - il David - si piega e diventa flessibile nel Trench Peggy ideato dalle founder Alice Zantedeschi e Francesca Pievani. La startup si impegna nella valorizzazione del know-how dell’industria locale, per questo i suoi prodotti vengono realizzati interamente in Italia in un’area geolocalizzata di 120 chilometri.
Il cactus di Angela Roi
Spesso usato come metro di paragone per persone spigolose e inavvicinabili, il cactus è la materia prima di cui sono fatte le tote bag, le crossbody e le shoulder bag di Angela Roi. Il brand si impegna a utilizzare materiali non animali, come nel caso della pelle vegana derivata dal cactus, creata attraverso un lento processo di raccolta a mano della materia prima e della sua asciugatura. È raccolta a Zacatecas in Messico, dove il brand insieme alla sostenibilità ambientale, si batte per la sostenibilità sociale, pagando ai propri dipendenti il giusto salario e provvedendo ad ambienti di lavoro confortevoli e puliti.
Il cocco di Rombaut
Le scarpe firmate Rombaut nascono portando il seme della decomposizione dentro di sé, come accade per il modello Dysmorphia, fatto di una suola biodegradabile che nasce con la promessa di scomparire. L’obiettivo del founder e designer, Mats Rombaut, non è solo quello di rendere sostenibili le sue sneakers, ma di crearle, un giorno, completamente biodegradabili. Tutti i materiali e i tessuti utilizzati sono derivati da pietre, corteccia d’albero, gomma naturale, cellulosa e fibra di cocco. Borse, top, tank e t-shirt completano un catalogo interamente sostenibile e minimale.
I rifiuti agricoli di Ground Cover
Come suggerisce il nome del brand, che in italiano significa “sottobosco”, Ground Cover trova sul suolo, nelle piante e nei rifiuti agricoli prodotti dalla terra la sua ragion d’essere. Dalla pelle derivata dall’ananas, al lino, passando per la pelle di cactus, arrivando infine ai vari tipi di cotone. Tutti i materiali utilizzati dal brand di footwear e accessori fondato da Avery Ginsberg sono di origine vegetale. Gli 8 Eye Boot, realizzati con gli scarti d’ananas, sono uno dei modelli di punta di Ground Cover. L’acciaio, la soletta in sughero, i lacci in cotone e una fodera in microfibra rendono questo stivale resistente, nonostante la totale assenza delle più consistenti fibre animali.
Il denim di RE/DONE
Nella terra di mezzo tra recycling e upcycling c’è RE/DONE. Nato nel 2014 con l’intento di dare nuova vita al vintage denim, il brand negli anni si è contraddistinto per il lancio di collaborazioni sostenibili, che rivitalizzano l’archivio di alcuni brand storici, come accaduto con la maglia di cotone riciclato prodotta con Hanes. Dalla sua fondazione, RE/DONE ha raccolto più di 145.000 capi di abbigliamento Levi’s di seconda mano o destinati alla discarica, li ha scuciti e di nuovo riassemblati secondo nuovi disegni, permettendo ad essi di adattarsi ai nuovi trend e di riacquistare nuova vita.