Mauna Kea: quando il surfwear arrivò a Firenze
Come un marchio dal nome hawaiano ha ridefinito lo streetwear italiano
03 Giugno 2022
Il termine Mauna Kea significa, nell’originale lingua hawaiana, “Montagna Bianca”. E in effetti il profilo sempre innevato del grande vulcano che domina sull’arcipelago è una delle viste più iconiche del panorama di quell’angolo di mondo. Proprio quel profilo, nel 1988, deve aver affascinato il giovane surfista fiorentino che girava il mondo alla ricerca dell’onda perfetta che poi, tornato in Italia, fondò un brand chiamato proprio così: Mauna Kea. A quei tempi, in Italia, il mito del surf esisteva come qualcosa di lontano da una società borghese che ancora non si era distaccata dai suoi codici euro-centrici, preppy, molto fondati sul bon ton che solo in quegli anni andavano aprendosi verso nuove subculture come i paninari, i figli dei fiori e i goth. Già dalla sua fondazione, il brand portò una ventata di novità in un mondo che non conosceva la libertà del surf e del mare – i suoi tagli sportivi, i suoi colori accesi, le sue fantasie incendiarono l’immaginazione di un Italia che finalmente, al culmine di un decennio prospero come gli anni ’80, iniziava a guardare con curiosità verso nuovi e più ampi orizzonti. La principale novità e unicità del brand è il suo spirito “no season”: proprio come il vulcano hawaiano ha la neve in cima e il mare a valle, così i prodotti del brand sono pensati per essere trasversali attraverso le occasioni e soprattutto le stagioni.
L’immaginario che il brand fu in grado di intercettare all’epoca fu quello dei molti surf & skate brand americani dell’epoca che traducevano in item colorati e vagamente edgy l’ebbrezza e la rilassatezza delle community di surfisti che ogni anno andavano in pellegrinaggio alle Hawaii o in California alla ricerca della mitologica onda perfetta. Quel tipo di estetica surfwear era estremamente americano – tutti i brand storici che si dedicavano al surf erano nati all’incirca nella stessa epoca, gli anni ’80, ed erano tutti americani. Mauna Kea fu la differenza. Cavalcando la letterale onda della febbre del surf, il brand portò il surfwear tra le colline toscane, introducendo la freschezza di quello stile al mondo del Made in Italy e creando un connubio che alimentò la vertiginosa crescita del brand dal ’92 al ’96 – forse il periodo di maggior successo del brand. Fino alla metà del nuovo decennio il brand conquistò quella nascente scena culturale che, vent’anni più tardi, avrebbe preso il nome di streetwear. La diffusione dei suoi fleece fluo e delle sue hoodie e dei suoi boat short da surfista tra i giovani italiani avvenne su tutti i livelli, facendo diventare il brand un fenomeno generazionale. Ma la diffusione, a fine anni ’90, di un più essenziale minimalismo e l’arrivo di nuovi brand nati dal mondo del clubbing e della televisione all’alba del 2000 attenuarono la presa che il brand aveva nel mainstream facendolo cadere in una sorta di letargo che finì solo nel 2013, quando Cool Farm e il giovane imprenditore toscano Felix Vannucci rilevarono e rilanciarono il marchio, volendo reinterpretarne l’heritage.
La seconda vita del brand si svolse durante l’esplosione dello streetwear con un cambio di narrativa che ne riguardò sicuramente prodotti ed estetica, interamente Made in Italy, ma anche il messaggio, enfatizzando la connessione di Mauna Kea con la natura, popolando le sue campagne di animali come scimmie, elefanti, cervi, tigri siberiane e carpe koi. Questo legame si tradusse anche nelle stampe tye-dye, nelle decorazioni shibori e nelle texture delle collezioni – ispirate al foliage, alle pellicce riprodotte in aerografia, alle scaglie dei pesci o procedure di tintura artigianale. Un momento molto importante per la svolta di Mauna Kea, specialmente nel mercato americano, fu quando J. Cole indossò una double hoodie del brand per un concerto, aumentandone enormemente la visibilità sul piano mondiale e stabilendo un legame tra il brand e il mondo dell’hip-hop italiano e internazionale e conquistando fan del calibro di J Balvin, Guè Pequeno, Marracash, Desiigner, Plies e Russ ma anche di Lorenzo Jovanotti e della star K-Pop Yugyeo . Con una collaborazione firmata dalla star dell'NBA Jaren Jackson in rampa di lancio, il brand è tornato a riesplorare questa estetica anche per la sua stagione SS22, che oltre alle classiche print aggiunge anche il tema visivo delle api e delle alveari e ambienta i suoi scatti tra le montagne, i monti che rievocano le sue originali radici hawaiane – sempre tra la montagna e l’oceano, sempre no season e, ovviamente, sempre italiano.