Louis Vuitton e l’incognita del direttore artistico
Dopo lo show spin-off di Bangkok, la collezione SS23 del brand sarà firmata dal design team
01 Giugno 2022
C’è vita dopo Virgil Abloh? Mentre il mondo della moda prova a riempire il gigantesco vuoto lasciatosi dietro dal geniale e prolifico designer, uno dei creativi che ha forse cambiato di più la nostra maniera di intendere e raccontare la moda, i brand e i progetti che il direttore creativo si è lasciato indietro fanno i conti con il futuro. Se Ibrahim Kamara e Shannon Abloh sono stati nominati come successori ufficiosi di Virgil rispettivamente da Off-White™ e della Virgil Abloh Securities, una corporation che porterà avanti il lascito artistico del designer – il vuoto che Virgil aveva lasciato da Louis Vuitton sembrava incolmabile. E il brand ha gestito la scomparsa del direttore creativo con grande rispetto, raccontando i suoi ultimi progetti e organizzando, come specie di ultimo tributo, uno show spin-off a Bangkok dove sfileranno gli ultimi nove look che portano la sua firma. Contestualmente alla notizia della sfilata di Bangkok, il brand ha anche annunciato che la collezione SS23 che sfilerà a Parigi alla fine di giugno sarà disegnata collettivamente dal team di design del brand.
Non è chiaro se l’assenza di un direttore creativo sia momentanea, come accadde a Dior e Lanvin nel 2016, o se invece ci sia un desiderio da parte di Louis Vuitton di sperimentare un format interessante come quello della direzione creativa “collettiva” e senza nome. Usiamo il verbo “sperimentare” perché la presenza di un design team che firma le collezioni in assenza di un direttore creativo vero e proprio è qualcosa di comune per i brand più indie e sperimentali e non di titani commerciali come Louis Vuitton. Sicuramente il caso più famoso di un brand diretto come collettivo è Maison Margiela che dal 2009 al 2014 non ebbe un direttore creativo vero e proprio in omaggio a quella filosofia dell’anonimato che il founder aveva portato avanti per tutta la sua carriera. Anche Ann Demeulemeester, dopo l’acquisizione di Claudio Antonioli sotto i buoni auspici dell’eponima founder, ancora presente nella vita del brand, non possiede un direttore creativo specifico ma lavora con un design team. Altro caso di brand senza direttore creativo, e forse il più simile a Louis Vuitton di questa lista, è Bally che fino alla recente nomina di Rhuigi Villaseñor aveva prodotto collezioni collettivamente per cinque anni. Il che dimostra che senza direttore creativo si vive – anzi, la consuetudine insegna che le collezioni “safe” prodotte da un team di design tendono anche a performare meglio sul piano commerciale proprio perché meno esteticamente indirizzate e dunque più approcciabili.
Siamo dunque in un momento di transizione per Louis Vuitton. Mentre per le collezioni donna Nicholas Ghesquière miete successi, la questione del menswear rimane spinosa. Virgil Abloh era il designer che aveva reso il menswear di Louis Vuitton qualcosa di estremamente artistico e pop insieme, che aveva creato una serie di pezzi riconoscibili e che, forse più di Marc Jacobs e Kim Jones, ha lasciato un heritage compiuto per il menswear di un brand che, ricordiamolo, fino al 1997 non produceva ready-to-wear e che dunque non possedeva lo stesso storico archivio di altri giganti della moda come Gucci o Chanel. Chiunque lo sostituirà, in futuro, dovrà fare qualcosa di molto diverso ma di altrettanto rilevante o dovrà proseguire sulla strada che Virgil ha tracciato – ma in ogni caso dovrà confrontarsi con la titanica ombra di questo predecessore. Fatto sta che, per questa e probabilmente per le generazioni future, l’estetica del menswear di Louis Vuitton rimarrà dipendente da quella concepita da Abloh e che ora e che per forse qualche altra stagione è stata affidata al design team. Dopo tutto l'idea di una creatività collaborativa, libera, aperta e senza autore era parte integrante della visione di Virgil - lui ha simboleggiato questo nuovo tipo di approccio nella cultura mainstream. Se la soluzione al dilemma del successore sarà quella di far adottare a un gigante commerciale della moda la forma mentis di un brand sperimentale potremmo essere sull'orlo di una nuova, quieta rivoluzione per l'industria.