Direzioni creative che avevamo dimenticato
Michael Kors da Céline? Alexander Wang da Balenciaga? Il passato della moda cela inaspettate laison tra designer e brand
26 Maggio 2022
Game of musical chairs. È questa una delle espressioni più utilizzate per raccontare i frequenti cambi di casacca, gli avvicendamenti al vertice, le nuove nomine all'interno dell'industria della moda, che ne ha fatto una prassi quasi quotidiana. Il fashion system ama rinnovare, ravvivare, a volte distruggere, carriere e brand ad un ritmo sorprendente, perché, si sa, è la novità che attira. Se oggi la fama e il successo di molti designer sono strettamente legati ad una maison e all'estetica che evoca, molto probabilmente il loro passato nasconde direzioni creative diverse, perfino sorprendenti. Tuffiamoci allora nel loro profilo LinkedIn.
Michael Kors da Céline (1997-2004)
Non si vive di sola Phoebe Philo. Prima del minimalismo, della raffinatezza, della femminilità cerebrale della designer inglese ci fu uno dei giudici più noti di Project Runway. Era il 1997, LVMH aveva appena acquisito la maison francese nata nel 1945, ed era alla ricerca di uno stilista in grado di espandere il brand. La scelta ricadde su un americano, Michael Kors appunto, in un momento storico in cui altri due designer statunitensi sedevano al vertice della moda europea, Marc Jacobs da Louis Vuitton, Narciso Rodriguez da Loewe. Céline non era mai stata associata al ready-to-wear e fu proprio da lì che Kors partì per costruire una nuova identità per la maison, arricchendola di capi rubati allo sportswear e di linee più morbide, seppur seducenti, due elementi simbolo del brand eponimo di Kors. L'immaginario era legato al lusso più opulento e sofisticato, delle vacanze a Monte Carlo e Tahiti, incarnato da modelle toniche e abbronzate, che scendevano in passerella indossando gioielli d'oro, pellicce, cardigan bon ton, dolce vita e pantaloni a vita alta. Austerità e sensualità, due concetti che in seguito Philo avrebbe portato ai massimi livelli. La visione di Michael Kors piacque molto al pubblico e le vendite ne furono la prova, ma nel 2004 il designer decise di abbandonare la maison per concentrarsi sul proprio brand. L'addio, tuttavia, non fu completamente amichevole, tanto che alla fine della sua ultima sfilata da direttore creativo, Kors dichiarò parlando di LVMH: "Sono stato maltrattato? No. Sono stato trascurato? Sì". Nel 2008 arrivò Phoebe Philo, e il resto è storia.
Stella McCartney da Chloé (1997-2001)
Cosa si prova a dover succedere a Karl Lagerfeld alla guida di una maison a soli 25 anni? Andrebbe chiesto a Stella McCartney, che nel 1997 - anno di grandi cambiamenti per l'industria - fu scelta per rimpiazzare il Kaiser della moda come direttrice creativa di Chloé. L'annuncio lasciò molti perplessi, Lagerfeld in primis, che attribuì la sua nomina al fattore nepotismo, così come molti altri. La collezione di debutto di McCartney, invece, non solo convinse la stampa di settore, ma conquistò immediatamente il pubblico più giovane, e le icone del momento. Liv Tyler, Gwyneth Paltrow, Kate Hudson, Cameron Diaz, Madonna, tutte volevano indossare Chloé. Guardandole oggi, le collezioni della maison firmate Stella McCartney hanno un sapore boho-chic, irriverente, ammiccante, intriso di cultura giovanile, e incarnano al meglio l'estetica Y2K tanto popolare oggi tra la Gen Z. Dopo quattro anni - di successi - McCartney lasciò la maison per fondare il suo brand omonimo, che in seguito sarebbe diventato una delle voci più attive e impegnate sul fronte della sostenibilità ambientale, ma già nel 1997, quando a McCartney fu offerto il posto da Chloé, la sua unica condizione per accettare era l'eliminazione immediata di pellicce e pelle dalle collezioni della maison. Sintomo di una visione (e di una missione) già ben delineata.
Nicolas Ghesquière e Alexander Wang da Balenciaga (1997-2012) (2012-2015)
Gli step che hanno portato Nicolas Ghesquière a dirigere Balenciaga sono degni della trama di un film. A 22 anni, dopo essersi formato da autodidatta, il designer francese lavorava da freelance per varie case di moda, e il suo curriculum contava già uno stage alla corte di Jean-Paul Gaultier. Inizialmente, Balenciaga era un cliente come un altro, per cui Ghesquière disegnava abiti da sposa e per funerali. Quando il direttore creativo dell'epoca, Josephus Thimister, venne licenziato in tronco, Ghesquière venne nominato suo successore, nonostante molti dessero per certo l'arrivo di Helmut Lang. Lo stilista francese ebbe solo quattro mesi per preparare la sfilata SS98, che in ogni caso si rivelò un successo immediato, di stampa e pubblico. "Mi sono avvicinato a Balenciaga nel modo più religioso possibile: molto nero, molto monastico, linee affilate", dichiarò Ghesquière, che rivelò inoltre che dopo il suo debutto fu avvicinato dai nomi più altisonanti della moda, come Bernard Arnault, Patrizio Bertelli, Tom Ford, con proposte di collaborazioni, e con l'idea di creare un brand suo. Per i successivi quindici anni, invece, Ghesquière rimase saldamente al comando di Balenciaga, trasformando la polverosa casa di moda nel brand del momento. Forte di una conoscenza profonda dell'archivio della maison, il designer francese introdusse ispirazioni nuove, come i romanzi sci-fi, tagli radicali, riflessioni su volumi e forme, e ancora, abiti scultura, sandali da gladiatore e It Bag come la Motorcycle, un must have ancora oggi. Il successo fu folgorante, totalizzante, e portò Balenciaga ad essere uno dei brand più venduti e amati di sempre.
Dopo l'addio di Nicolas Ghesquière (con annessa causa legale con Kering) che passò a Louis Vuitton, il posto di direttore creativo fu occupato da Alexander Wang, che arrivò nel 2015. Wang all'epoca era sulla cresta dell'onda grazie al suo brand omonimo, spalleggiato dalle testate di moda più autorevoli, dunque le aspettative nei suoi confronti erano altissime. Nei suoi tre anni di direzione creativa secondo molti non si vide nulla di nuovo o originale sulla passerella di Balenciaga, e con la mancanza di un prodotti di punta, come una It Bag, non vennero raggiunti gli obiettivi commerciali e di immagine. Vanessa Friedmann del NYT definì la nomina di Wang un "grande errore", una scelta resa ancora più evidentemente sbagliata quando nel 2015 arrivò, dal collettivo Vetements, un certo Demna Gvasalia, genio vero della moda, che ha trasformato Balenciaga in un impero, soprattutto estetico, che oggi domina il fashion system.
Tom Ford da Yves Saint Laurent (1999-2004)
Nella mitologia della moda, poche ere sono ricordate e celebrate quanto la direzione creativa di Tom Ford da Gucci. In pochi ricordano, però, che dal 1999 al 2004 Tom Ford disegnò anche le collezioni di Yves Saint Laurent, all'epoca parte del gruppo Gucci, oggi confluito in Kering. Dei cinque anni alla guida della maison francese uno degli aspetti più raccontati è il difficile rapporto tra Ford e Yves Saint Lauren stesso, che in più di un'occasione aveva manifestato il suo disappunto per la direzione presa dalla sua (ex) maison. "In 13 minuti sei riuscito a distruggere 40 anni del mio lavoro", avrebbe detto Saint Laurent. "Non ricordo molto del mio periodo da YSL, ma penso di aver disegnato alcune delle mie migliori collezioni lì", dichiarò Ford. Sotto la guida dello stilista texano, YSL divenne più audace, moderno, pur mantenendo il suo animo femminile e romantico. Ford si opponeva alle imposizioni di Saint Laurent e Pierre Bergé, che volevano vedere i capi simbolo della maison in passerella ogni stagione, come Le Smoking, andando in una direzione diversa, che oggi appare riuscitissima. Dopo l'addio di Tom Ford al gruppo Gucci nella sua interezza, al vertice di YSL venne nominato Stefano Pilati, ex assistente di Ford, che rimase molto fedele ai codici visivi del brand, seguito poi da Hedi Slimane e Anthony Vaccarello.