Le fantasie siderali di Alessandro Michele con Gucci Cosmogonie
Ieri notte, sotto un cielo di stelle, è andato in scena l’ultimo show del brand
17 Maggio 2022
Un Castel del Monte ricoperto di stelle e comete, sotto un plenilunio che illuminava le campagne pugliesi, è stato il fondale dello show Gucci Cosmogonie, la collezione SS23 di Gucci, sulla cui front row sedevano un numero imprecisato di star, da Lana del Rey, ai Maneskin, passando per Mark Ronson e Alessandro Borghi. L’invito della collezione, che includeva un disegno delle fasi lunari e il certificato di adozione di una stella, faceva presagire un tema astronomico o esoterico. Le show notes invece hanno utilizzato il senso della parola “costellazione” nel senso semiotico del termine – ossia quello di connessione in un unico disegno coerente di punti solo in apparenza separati tra loro. Su questo tema si è costruito il discorso delle show notes, che hanno recuperato la vicenda del filosofo suicida Walter Benjamin e di Hanna Arendt, creando un parallelismo tra il primo e Alessandro Michele – entrambi «pescatori di perle», entrambi eclettici citazionisti, compilatori di references che, messe tutte insieme, creano un mondo. E così è stata la collezione che, lungi dal legarsi al tema medievale della location o a quello astronomico del cielo stellato, ha invece sfruttato il set onirico di Castel del Monte, le fumate drammatiche, le luci e i suoni per creare una sorta di surreale carosello in cui apparivano visioni di creature fantatiche, il cast immaginario di un’epica pièce teatrale o, come dicono le show notes, «inedite configurazioni di realtà capaci di rompere i vincoli della tradizioni».
Scorrendo i look si può avere un’idea di questo campionario di personaggi romantici: principesse dalle lunghe gonne, nobildonne in cappe d’ermellino, arlecchini elisabettiani, figlie dei fiori vestite di jeans scintillanti, una modella aveva un abito nero che omaggiava icone horror anni ’50 come Morticia Addams e Vampira, un’altra indossava un costume a metà tra la Grecia e l’Impero Ottomano, c’erano starlet anni ’50 in lunghe gonne da sirena, ragazze nude sotto un velo che sembravano la Venere di Botticelli, rimandi a Crudelia DeMon, ai costumi cinematografici dei classici noir – un look nello specifico, il 29, abbinava un abito in stile anni ’20 con una corona con pendenti in stile bizantino che era curiosamente simile al camaleuco di Costanza d'Aragona, la moglie di Federico II che costruì proprio Castel del Monte, e che oggi è conservato a Palermo.
C’erano anche reference che traducevano in termini più letterali il tema visivo/discorsivo della costellazione, ricoprendo giacche, completi e jeans di ricami cristallini e scintillanti paillettes culminando con il ventesimo look, che includeva un cappotto con orli di ECOpelliccia su cui le costellazioni erano ricamate in cristalli. Un altro, il settantaduesimo, trasformava i cristalli in grandi placche che decoravano un completo color oro scintillante che pareva riferirsi tanto ai completi di tweed francesi che a un barbarico costume longobardo. Citazioni a parte, proprio in questa sfilata più che in altre, emergeva evidente e priva di sbavature a la stratificazione delle citazioni e delle reference che ispiravano Michele – citazioni così disparate tra loro che la loro unione sotto la stella dell’immaginazione del designer romano il cui processo creativo diventa sempre più lucido e sognante, sempre più preciso nell’evocare un mood (anzi, evocarne molteplici) per condensarli in una fantasia che, proprio come le costellazioni che ispirano la collezione, evoca immagini e mitologie che prima non c’erano.
È chiaro, potremmo aggiungere, che Michele si è trovato pienamente a suo agio nel creare questa nuova collezione, sbizzarrrendosi insieme al suo team per esplorare non solo location diverse ma anche messe in scena spettacolari – che sono poi il fondale migliore per lo specifico tipo di reverie in cui Michele si è specializzato. Questa collezione, ad esempio, proprio come Gucci Love Parade, possedeva un respiro più ampio, un numero di look superiore al centinaio e un qualcosa di monumentale: tutti segni di una fantasia che si realizza non solo per merito della collezione in sé, ma anche della location, della vision che la ispira, della sintonia delle tanti parti mobili che stanno dietro al “momento” dello show come punto più alto della comunicazione/espressione del brand. Parlando con WWD, Michele ha paragonato la moda a «un grande coro», un richiamo alla collettività, ai vari elementi che, per citare il salmo, convenerunt in unum – esattamente come i molti astri diversi che compongono la medesima costellazione.