Il Met Gala in cui nessuno si è sforzato troppo
Quest’anno sono stati in molti a non capire (o seguire) la tematica
03 Maggio 2022
Lamentandosi del Met Gala, qualche giorno fa, Tom Ford lo aveva definito «una carnevalata», parlando dei tempi in cui il gala era effettivamente un gala e non la notte più stravagante della moda. E anche se con Tom Ford in linea di massima siamo sempre d’accordo, il piacere di mettersi a giudicare gli abiti delle oltre duecento celebrity che hanno sfilato sul red carpet è troppo grande: in fondo, in un mondo fatto di jeans e sneaker, l’idea di un party in costume non è poi così orribile. Arriva dunque la fatidica sera. Il tema di quest’anno è Gilded Glamour, in riferimento non-ironico alla Belle Epoque americana, epoca di grandi eleganze ma di enormi disparità sociali, epoca di abiti lunghi e di frac vittoriani ma anche di flussi migratori, di corsa all’industrializzazione e di tutte le varie ambivalenze del sogno americano. Al di là dei significati reconditi, comunque, possiamo dire in termini semplici che ieri sera c’era un tema che non solo molte delle celebrity non sembrano aver colto, ma che tanti hanno apertamente ignorato vestendosi con dei look perfetti per gli street style della fashion week ma poco per il Met Gala. Di più: c’era l’impressione che alcune delle star fossero state vestite con dei look prelevati di peso dalla sfilata quasi si trattassero di manichini di una boutique messi lì a scopo promozionale, vestiti con un generico gusto più vicino al visual merchandising che allo styling ma senza quello sforzo e quel pensiero che fanno apprezzare un abito del Met Gala.
Per fare un esempio di un look perfettamente indovinato potremmo iniziare da Vanessa Hudgens, che si è vestita con un abito Moschino la cui silhouette era totalmente d’epoca, ma il cui materiale trasparente dava un twist moderno e sexy, commentando anche sui rigidi codici del costume dell’epoca. E in generale molte altre star (per lo più donne) avevano indovinato il tema: da Billie Eilish in Gucci a Blake Lively in Atelier Versace fino a Laura Harrier e Lizzo. A colpire, però, è stato l’assoluta mancanza di sforzo da parte di molti degli uomini: per ogni David Roseberry, Thomas Doherty o Joshua Jackson che avevano intuito come un semplice frac bastasse, c’erano dieci Kodi Smith McPhee in outfit stupendi (chi non amerebbe un full look di Bottega) ma selvaggiamente fuori tema o altrettanti Jake Harlow o Jacob Elordi vestiti nella maniera più anonima e insapore possibile – un po’ come se in realtà non gliene fregasse davvero nulla. Dall’altro lato dello spettro, i più shocking erano sicuramente Bad Bunny e Future, seguiti a ruota da Lenny Kravitz, Baz Luhrmann e Joe Jonas – mentre tra gli uomini che avevano effettivamente fatto lo sforzo di seguire il tema senza conformarsi al bon ton dell’abito da sera c’erano Gunna ed Evan Mock. Anche Ashton Saunders merita una menzione per avere seguito la fantasia ed essersi vestito in stile steampunk con un completo di Casablanca e dei goggles in stile H.G. Wells, mentre Stromae e Kid Cudi hanno almeno fatto uno sforzo nel creare un outfit differente, che sembrasse più appropriato a una sera come quella del Met.
Il problema principale di questi e di altri look (di nuovo) non è il loro valore estetico assoluto ma, per così dire, il loro valore estetico relativo – considerato che il Met Gala non è esattamente la fashion week, bisognerebbe presentarsi in abito da sera oltre che provare, anche poco, a seguire il tema. La sensazione, comunque, rimane che molti look, pur stupendi, fossero stati composti senza troppa ispirazione, prendendo un look da una sfilata per poi copia-e-incollarlo sul brand ambassador di turno: il look di Sebastian Stan o Jung Ho-yeon erano bellissimi, per esempio, ma poco attinenti al tema della serata, più simili agli ensemble che si vedono nelle vetrine di una boutique che a quelli presenti nelle pagine di una rivista. Anche Hailey Bieber e Kim Kardashian erano vestite bene ma senza nessuna attinenza al tema. La prima indossava un vestito Saint Laurent semplicissimo, molto elegante, ma tutto sommato poco memorabile; la seconda invece aveva recuperato l’abito di Marilyn Monroe – figura pop che però con la Gilded Age c’entra davvero pochissimo.
Altri look sono semplicemente poco spiegabili: Riz Ahmed sembrava vestito per andare al pub, Conan Gray per andare allo Studio 54, Manu Rios non si capiva bene dove volesse andare mentre Rege-Jean Page ha mescolato pericolosamente velluto e paillettes per un outfit che aveva decisamente troppi colori scuri, indistinguibile. Il ritratto della moda che ne emerge è quello di un'industria che non sa nè vuole coltivare l'imprevisto o lo scioccante, dominata da una cauta e molto rigida logica corporate che rimane incapace di stupire, per cui non solo anche lo stupore è un sentimento prefabbricato ma per cui il valore della celebrity presa per se stessa supera le considerazioni sul risultato finale, quando la necessità del branding (dopo tutto sono i brand a pagare i costosi posti a sedere per le celebrity) cancella l’importanza del fashion moment e in cui si rivela come alcuni (assolutamente non tutti) dei volti noti della moda di oggi siano solo i ricettori passivi di look senz’anima, stylati con la freddezza di un algoritmo.