Da Elizabeth Holmes a Emily Weiss, come cambia il guardaroba di una CEO donna
Gli iconici dolcevita nera hanno lasciato spazio ai sandali Bottega Veneta, a testimonianza di un'evoluzione stilistica e sociale
25 Aprile 2022
Tra gli innumerevoli elementi che rendono The Dropout una delle serie migliori dell'anno, spicca la capacità di raccontare in modo così profondo e preciso il personaggio protagonista attraverso gli abiti che indossa. Nella serie Hulu creata da Elizabeth Meriwether, Amanda Seyfried veste (letteralmente) i panni di Elizabeth Holmes, fondatrice della start up Theranos - ad un certo punto valutata 9 miliardi di dollari, - che prometteva accuratissimi esami del sangue prelevandone un'unica goccia, grazie ad una tecnologia innovativa che in realtà non ha mai funzionato. Nel racconto dell'ascesa e della caduta di questa giovane studentessa di Stanford, che oggi aspetta di conoscere la sua sentenza dopo essere stata condannata per cospirazione e frode, giocano un ruolo primario gli abiti che indossa.
Gli inizi, incerti, di Holmes nel mondo delle biotecnologie sono costellati da felpe di Abercrombie & Fitch, camicie di Banana Republic e pantaloni di J Crew, a simboleggiare l'inadeguatezza, l'estraneità, l'inesperienza di una ragazza così giovane in quel settore. Il tiro comincia a cambiare intorno alla terza puntata quando fa il suo ingresso quello che diventerà l'outfit simbolo, l'uniforme, o meglio ancora, il costume, di Holmes. Prendendo ispirazione dal suo idolo Steve Jobs - e cercando di incarnare al meglio lo spirito tipico della Silicon Valley di quei tempi, in cui il culto della propria personalità era imprescindibile per candidarsi a founder di start up e ispiratore destinato a cambiare il mondo -, Elizabeth Holmes sceglie il dolcevita nero, indossato con pantaloni sartoriali nello stesso colore, blazer o vest imbottiti, spesso di Patagonia. Come ha raccontato più volte Claire Parkinson, costumista della serie, la vera differenza la fa il fit di quei vestiti. I pantaloni, i dolcevita (che nello show sono firmati Woldorf, mentre Jobs li indossava di Issey Miyake), le giacche, sono tutti volutamente troppo grandi, con grinze, pieghe e difetti dove non ci dovrebbero essere, a segnalare quanto quegli abiti fossero un costume, una maschera che Holmes indossava non solo per inserirsi in un mondo a predominanza maschile, ma soprattutto per legittimare la sua presenza, per perpetrare la bugia che era alla base del successo di Theranos.
Al di là della vicenda, incredibile, di Elizabeth Holmes, la componente estetica del suo personaggio invita ad una riflessione sulle scelte di stile, tutt'altro che casuali, delle donne imprenditrici e di potere che operano in settori prettamente maschili. Come ha scritto Vanessa Friedmann sul NYT lo scorso marzo, "indossare un'uniforme come un'armatura è stata a lungo una strategia scelta dalle donne in cerca di rispetto nell'ambiente tipicamente maschile della Silicon Valley. Mentre gli uomini sono incoraggiati a comunicare la loro credibilità anticonformista attraverso felpe e ciabatte, le donne affrontano la pressione di apparire impeccabili seppur non interessate alla moda."
Come si vestono, dunque, CEO, imprenditrici e founder? Sherly Sandberg, direttrice operativa di Facebook, la prima donna ad entrare a far parte del consiglio di amministrazione dell'azienda, aveva raccontato in un'intervista al Guardian di "non voler apparire super scomoda, come di solito risulto nelle foto. Non sono una modella, sono una mamma dei sobborghi, non scelgo nulla di troppo alla moda". Sandberg è spesso fotografata in abiti aderenti dalle linee pulite, con scolli dritti e in sfumature prettamente scure. Per citare il famoso adagio "vestiti per il lavoro che vuoi, non per quello che hai", Sandberg ha dato forma alla versione femminile dei soliti completi in giacca e cravatta dei colleghi uomini.
È di tutt'altro avviso Marissa Mayer, la prima ingegnere donna assunta da Google, che è stata amministratrice delegata di Yahoo! dal 2012 al 2017, che non ha mai nascosto la sua passione per la moda. È rimasto celebre l'evento di beneficienza in cui Mayer donò 60mila dollari per pranzare con Oscar de la Renta, il suo designer preferito, e nel 2013 fu protagonista di un servizio fotografico su Vogue, in cui veniva descritta come la pioniera di una nuova estetica da ufficio che coniugasse professionalità, femminilità e stile. Mayer indossava spesso abiti voluminosi, stretti in vita, stampe appariscenti e colori vivaci, tutto ciò che a una donna era sempre stato sconsigliato di scegliere nel mondo del tech.
La credenza per cui se vuoi farcela nel mondo degli affari, affollato di uomini, devi vestirti come loro, o quanto meno scegliere degli abiti semplici, monocromatici, che non diano troppo nell'occhio, quasi a non voler sottolineare troppo la tua presenza in una stanza in cui non dovresti esserci, sta lentamente cambiando, con esempi virtuosi in particolare nell'industria del beauty e della moda. Emily Weiss, fondatrice e CEO del blog Into The Gloss e del brand Glossier, ad esempio, ha fatto del suo stile personale un tassello ulteriore nella costruzione di una realtà estetica prima ancora che di prodotto. Il suo vestirsi in alla moda, con le It Shoes di stagione e scegliendo brand all'avanguardia, sedendo in prima fila durante le sfilate, ha contribuito a dare forma a quell'ideale di girlboss trendy e intelligente, diventando un punto di riferimento, e un'ispirazione, per tutte quelle ragazze che in seguito sono diventate il pubblico e il target di Glossier.
Completi classici ma in colori sgargianti come giallo e lilla, wrap dress in stampe colorate, jeans skinny e tacchi. Whitney Wolfe Herd non ha cambiato solo il mondo delle dating app, lavorando prima come vice presidente del marketing per Tinder e in seguito fondando Bumble, ma portando nel mondo del tech un guardaroba allegro, divertente, formale senza risultare ingessato. Come a dire che le donne imprenditrici fanno sul serio anche senza indossare un completo scuro, o che possono festeggiare la quotazione in borsa di un'azienda con in braccio il figlio di diciotto mesi, come ha fatto lei, che, tra le altre cose, è la miliardaria self-made più giovane al mondo.
Tutta questa analisi è per forza di cose frutto di una diseguaglianza, perché lo stesso articolo non si potrebbe scrivere concentrandosi sui CEO uomini. Non solo perché a parte rare eccezioni risulterebbe noioso e ripetitivo, ma perché renderebbe evidente quanto le scelte stilistiche maschili siano meno importanti, simboliche e analizzate di quelle delle loro colleghe donne, per cui anche una semplice camicia può mandare un messaggio ben preciso. Ma è anche portando con sé un guardaroba normale, vario, reale, diverso dall'estetica business a cui siamo abituati, che le professioniste donne si fanno spazio nel mondo degli affari, cercando, gradualmente, di appianare le differenze di genere.