Serve davvero spendere tanto per vestirsi bene?
Perché il concetto di 'looking expensive' ha preso il sopravvento nello storytelling della moda
01 Aprile 2022
Tra i tanti elementi che non tornano nella vicenda di Anna Delvey, recentemente raccontata nella serie Netflix Inventing Anna, è che a livello estetico, Delvey non dava l'impressione di essere così ricca. Un dubbio che si fa più insistente guardando le vere foto scattate dalla finta ereditiera durante il famigerato viaggio in Marocco. Delvey poteva passare per una turista qualunque con quel vestitino a righe, i sandali infradito bassi e i lunghi abiti neri, eppure soggiornava in uno degli hotel più esclusivi di Marrakech. Forse era il suo atteggiamento, più che il vestiario, il suo lasciapassare verso quel mondo dorato.
In ogni caso, la serie di Shonda Rhimes ha aperto una riflessione sul concetto di looking expensive, un'espressione molto comune, impiegata in particolare da alcune riviste di moda, che letteralmente significa "sembrare costoso", nel senso di indossare capi con un certo prezzo e dunque avere un aspetto sofisticato ed elegante. Se infatti cercate la definizione su Google, i primi risultati saranno articoli che vi spiegano come far sembrare i vostri look più elevati, costosi, prestigiosi, in pochi semplici mosse. Indossare grandi occhiali da sole neri, un trucco usato anche da Delvey, portare borse rigide e strutturate, optare per capi dal fit perfetto, scegliere gioielli discreti ma sempre presenti, sarebbero tutte soluzioni per creare un outfit che non sembri di H&M ma di Valentino.
Il fatto è che, per un occhio allenato, i veri expensive look si riconoscono in pochi secondi. Mi è rimasto impresso un video di TikTok, ormai impossibile da ritrovare, perso nei meandri dello scroll, in cui una ragazza rispondeva ad una domanda riguardo il brand del top che indossava dicendosi un po' imbarazzata a rivelare che si trattava di un item di Khaite, prezzo 1055€. Dunque dove sta il problema, nel fatto che quel top non sembrava poter costare così tanto, che non dovrebbe costare così tanto, o che spendere quella somma per un capo di abbigliamento richiede una certa giustificazione, un mea culpa da fare in pubblica piazza per evitare le ire di una platea sempre pronta a criticare e fare polemica?
TikTok è il luogo in cui il concetto di looking expensive assume molteplici forme e si scontra con realtà opposte. Da una parte ci sono creator come Audrey Peters, che prende un aereo da New York a Milano per trovare un paio di sandali da Chanel; dall'altra ci sono migliaia di ragazze che ogni giorno mostrano i loro acquisti fatti su Shein; dall'altra ancora, c'è chi racconta senza troppe remore di aver acquistato falsi, dupes, imitazioni, sottolineando però quanto sembrino originali. Non è questione di chi abbia torto o ragione, o chi abbia più diritto di altri di mostrarsi, quanto invece che tutte queste manifestazioni sono figlie della stessa matrice. Gli haul di Shein non sono che la base di una piramide alla cui cima risiede un'idea di moda e lusso irraggiungibile per la maggior parte delle persone, e che per raggiungere occorre trovare metodi alternativi. Per sembrare ciò che non si è.
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In questo senso, Zara è l'epitome di tutti gli escamotage messi in atto per rientrare in quell'idea di looking expensive, in particolare on a budget, con delle risorse limitate, ed è infatti uno degli aspetti che più viene ripetuto e promosso dal gigante del fast fashion spagnolo: non sembra fast fashion. È quasi con divertita e vagamente colpevole consapevolezza che si rivela che un outfit è di Zara dopo aver ricevuto un complimento in merito, come fosse la rivelazione di un segreto, sussurrato per azzerare le distanze con l'interlocutore. Il sogno promosso da Zara è proprio quello di vendere abiti che sembrano appena apparsi in passerella, perché alle passerelle sono massicciamente ispirati, ma accessibili a quell'immenso pubblico di fashioniste che le maison non se le può permettere. Il riferimento luxury e l'impiego di materiali scadenti provoca però un cortocircuito che azzera le possibilità che gli abiti di Zara risultino expensive, tracciando una distanza ancora più marcata tra chi i vestiti delle sfilate se li può permettere e chi no.
Ma chi ha stabilito che looking expensive fosse un criterio con cui giudicare se una persona sia vestita bene o meno (sempre che sia questo ciò che rivela questo parametro)? L'industria della moda, a tutti i suoi livelli, dalle maison all'editoria di settore. Per decenni i brand e le riviste ci hanno ripetuto che per dire di vestirsi bene bisogna spendere tanto, investire, facendo passare il messaggio che in questo caso sì, siamo quello che indossiamo. Se ci pensate, lo shift stilistico che fa Andy, il personaggio interpretato da Anne Hathaway ne Il Diavolo Veste Prada, ha a che fare solo con l'apparenza, e non con lo stile. Quando i maglioncini infeltriti color ceruleo lasciano spazio agli stivali di Chanel lei conquista il diritto di far parte di un mondo esclusivo e superficiale, in cui l'aspetto supera la sostanza.
Oltre alle interpretazioni sfarzose, barocche, di puro show off tipiche di un certo tipo di rap, entertainment e di quei personaggi per cui la disponibilità economica è un fatto nuovo e dunque da sfoggiare, l'idea di looking expensive si è stratificata e ramificata, trovando inoltre una nicchia di pubblico e brand per cui il concetto diventa una questione di if you know you know. È alla fine di questo che si parla quando si racconta di un'interpretazione del lusso discreta, sussurrata, promulgata da maison come The Row, Loro Piana - nonostante Putin -, Brunello Cucinelli, Peter Do, Delvaux, Khaite appunto, e in un periodo preciso anche Bottega Veneta sotto Daniel Lee, prima di approdare nel mainstream. Brand che non hanno bisogno di grandi loghi, pattern o proclami per dare forma ad un'idea di lusso davvero esclusivo e per pochi, maglioni di cachmere da duemila euro che racchiudono un intero stile di vita che resta un sogno per milioni di persone.
Allora è sbagliata l’impostazione di base che ha dato forma all'idea di looking expensive, la concezione per cui la moda e lo stile personale abbiano a che fare solo con la somma di denaro spesa per i vestiti, e che fa equivalere il valore di una persona, e il suo diritto ad occupare certi spazi, alla sua capacità economica e al cartellino del prezzo degli abiti che indossa. Servirebbe allora un ribaltamento, uno scardinamento, una rivoluzione che si sposti che so, sulla pura espressione di sé, sulla creatività, sull'abilità di immaginare outfit meravigliosi con item di seconda mano, uscendo da un'impostazione classista e profondamente capitalista. Non esisterebbe più l'industria della moda per come la conosciamo oggi, sarebbe tanto male?