I social possono diventare un'alternativa alle scuole di moda?
Da semplice content a veri e propri corsi di formazione online
30 Marzo 2022
Quale sia la strada da seguire per lavorare nell’industria della moda è una domanda che da sempre si pongono in molti e che ancora non ha trovato una risposta univoca e universale. Tra i diversi quesiti che si pongono agli amici come agli esperti, ce n’è uno che ritorna costantemente nel tempo ed è quello che riguarda il percorso di studi. Se le storie di grandi nomi come Jean Paul Gaultier e Giorgio Armani dimostrano che le scuole sono un contesto relativamente nuovo e quelle di Glenn Martens o di Virgil Abloh insegnano che l’importante è apportare un punto di vista inedito al settore, sono tantissimi i ragazzi e le ragazze che negli ultimi anni hanno ritrovato nelle scuole l’unico canale di sbocco rassicurante in vista di un futuro lavorativo più che un passaggio obbligato per questioni di apprendimento. Poi c’è stato il lockdown ed è avvenuto qualcosa: i social sono diventati la nuova e più democratica fonte d’informazione.
Mentre su Instagram i creativi del settore hanno cominciato a parlare di quello che più amavano nel tentativo di reinventare il proprio lavoro, le camerette degli utenti di TikTok si sono trasformate in aule di lezione. Quello che è successo è che i creator hanno cominciato a condividere le proprie conoscenze di design, le proprie tecniche di styling e le proprie analisi delle tendenze o delle sfilate, oltre a ripercorrere i momenti iconici della storia della moda e a recensire i migliori outfit dei red carpet. Per controllare, cercate sull’app #studyingfashion e #fashionclass o #fashionhistory, #fashiondesign e qualsiasi altro hashtag che vi viene in mente pensando a quello che si potrebbe imparare in una scuola di moda. Per quanto riguarda la scena internazionale, @FashionBoy ha lanciato una serie di styling e design tips intitolata Fashion School. Altri nomi da seguire sono quelli di Mandy Lee, trend analyst e writer, e di Summer Lee, storica e curatrice di moda.
@summerannelee #learnontiktok #tiktokpartner #renaissance #fashionhistory #bipochistory Piano music - Hiro Hattori
In Italia, Claudia Potycki commenta le sfilate, risponde alle domande dei suoi 35mila follower sulle dinamiche del settore, riporta curiosities sui fashion magazine o sui designer emergenti e illustra alcuni trend; nel mentre, ha realizzato una collezione in stile anni Duemila e ne ha condiviso un piccolo making of. C’è anche chi affronta temi trasversali come Rosie Harte (@theroyalwardrobe), che rivela tutti i retroscena sui reali, passando dall’epoca Vittoriana a Lady Diana, o come Noemi Tarantini (@etantebellecose), che racconta le interazioni tra arte e moda a oltre 28mila follower: tra i suoi contenuti video essay sulle collaborazioni dei brand con gli artisti, «vieni con me» dedicati a opening e mostre o collegamenti come quello del wet look Balmain di Zendaya con le statue del Partenone di Fidia. A cimentarsi nei contenuti che si stanno rivelando veri e propri short-course di formazione quindi non sono solo gli esponenti della Gen Z, ma anche molti addetti al settore e persino alcuni insegnanti.
E se per imparare a disegnare, a cucire e a combinare una collezione su TikTok ci sono video tutorial, «pattern cutting course» e professionali «how to style», a proposito di fashion resource, dal nome di un hashtag da oltre 360mila visualizzazioni, anche dare consigli sulle piattaforme da consultare è diventato virale. Dai libri must read agli archivi online dei musei e dalle app come Vogue Runway e ai canali Youtube di HauteLeMode e The Fashion Archive, passando per Business of Fashion e i meme account, l’unica regola, come riporta @BeaProjet, è sempre «don’t use Pinterest». Tirando le somme, l’impressione è che chiunque oggi potrebbe imparare tutto quello che c’è da sapere sulla moda, dalle competenze pratiche alle conoscenze storiche. Ogni cosa suggerisce che i social media, e specialmente la piattaforma simbolo del periodo post-pandemia, hanno moltissime carte in regola se non per sostituire le scuole di moda almeno per candidarsi al titolo di alternative.
Esistono almeno tre motivazioni per cui considerare i contenuti di TikTok, che a loro volta rimandano a Instagram e Youtube, una sorta di corsi di formazione. La prima riguarda la questione economica: il principale problema delle scuole di moda è che per frequentarle serve una grande disponibilità. Non si tratta solo di pagare le rette elevate, che per altro risultano tendenzialmente aumentate, ma anche di potersi permettere il costo della vita in una determinata città insieme a molte altre spese, il tutto per ricevere strumenti e risorse che ora si ha ottime chance di trovare sui social. Questo non significa che non si dovrebbe investire nel proprio percorso di studi: solo che, se qualcuno non potesse permetterselo, seguendo i profili giusti potrebbe recuperare terreno, ricevendo gli input che gli servono per conoscere la storia della moda, guardare i documentari consigliati e comprare i libri giusti, arrivando anche a contestualizzare una sfilata o una tendenza. Il tutto con un approccio intuitivo e istantaneo che può sembrare assurdo a Gen-X e primi Millennial, ma è quello della Gen-Z.
A questo si aggiunge che, in generale, se c’è una cosa indiscutibile è che la digitalizzazione dà la possibilità di studiare o lavorare dove si vuole. Chi vive in luoghi decentrati o distanti dalle grandi città ora può imparare da un editor americano e contemporaneamente da un creator coreano, nessuno deve lasciare un lavoro che gli serve o le abitudini a cui tiene per andare a Londra o a Milano. C’è poi da considerare che quando la pandemia ha riaperto la discussione sul bisogno di vivere in una capitale della moda per lavorare nel settore, la nuova generazione ha dimostrato di non avere alcun dubbio: gli editor, gli stylist e i designer di domani vogliono solo uscire dal loop della productivity culture, optando un approccio al lavoro più sano e valorizzando il proprio territorio. Per coloro che la pensano in questo modo, l’opzione #learningfashion costituisce lo scenario ideale. In tale scenario, il problema nasce all’idea che si tratti di un apprendimento unicamente passivo, che non prevede interconnessioni con gli altri.
E se pensando a queste insolite lezioni online la prima cosa che viene in mente è la mancanza di una dimensione sociale, è importante ricordare che TikTok si è rivelato il social della comunione e della condivisione: c’è una grande componente di interazione, che emerge quando le richieste dei follower di replicare un format o di ritornare su un tema vengono ascoltate, che segue le dinamiche della Gen-Z. Come dimenticare tutte le conquiste raggiunte da una generazione che ha dimostrato di avere una padronanza dei media senza precedenti? Solo nel 2019 Roisin Lanigan scrive su i-D, a proposito dei pro e contro delle scuole di moda: «mentre le rette si sono impennate, i social media sono diventati una sempre più sostanziale alternativa all’educazione tradizionale – forse battendola per l’accesso al pubblico e ai contatti nel settore che offrono». A tre anni e una pandemia di distanza, sappiamo perfettamente quante cose si sono evolute ulteriormente in direzione dei social media come strumenti di networking e luoghi di scambio culturale, dalle live di Instagram con gli spiegoni delle settimane della moda alle camerette.
Se i social media siano il futuro dell’educazione di moda, non è dato sapere: «seguire online» non deve essere motivo di isolamento, in quanto è necessario trovare un equilibrio nell’utilizzo dei social come strumento di condivisione. Nonostante in una dimensione digitale manchino comunque moltissime caratteristiche tipiche di ogni percorso di formazione, quel che è certo però è che qualora un aspirante stylist, editor o designer dovesse voler imparare quante più cose possibili per porre le basi della propria carriera avrebbe un’ottima occasione per cominciare qualsiasi sia la sua storia.