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L’hype culture non è mai finita, è solo cambiata

Da Swatch x Omega a Burberry e Supreme, l'hype non se n'è mai andato

L’hype culture non è mai finita, è solo cambiata Da Swatch x Omega a Burberry e Supreme, l'hype non se n'è mai andato

Dalle file chilometriche per il drop di una sneaker alle risse per una collabo di Supreme, negli anni l’hype culture ha assunto forme e contorni diversi, spesso folli e discutibili. Alla fine il concetto stesso di “hype” è traducibile come attesa folle e insensata verso qualcosa, una scarpa, una box logo o magari un orologio. Perché negli ultimi giorni quel termine spesso dato per morto è tornato prepotente nei nostri feed social in occasione del lancio della collabo tra Swatch e Omega, che con le sue code lunghe centinaia di persone ha riportato alla mente i tempi andati dei camp-out e delle liste fuori dagli store. Complice un prezzo di retail estremamente basso e la notizia di uno stock limitatissimo, il drop di Swatch X Omega ha riacceso quella miccia che in realtà non si era mai spenta, ma si era semplicemente adattata ai tempi, quelli in cui non basta più una hoodie a creare l’eccitazione di un volta.

L’hype culture non è mai davvero finita quindi, è solo cambiata insieme ai nostri gusti. Più esigenti, per certi versi, merito di una evoluzione generazionale e valoriale che ha accompagnato la formazione della street culture e la nascita di quello che viene definito "nuovo lusso". Prima ancora della collaborazione tra Swatch e Omega, qualcosa di simile si era visto con quella tra Supreme e Burberry, in cui l’intervento della polizia davanti lo store newyorchese del brand ha riportato alla mente scene di diversi anni fa, quando nel 2014 le forze dell’ordine fermarono la release in store delle Supreme x Nike Air. Quello che c’è stato è un cambio generazione, oltre che di mercato, in cui se da un lato brand come Palace o il già citato Supreme hanno perso il fascino di una volta, dall’altro chi prima aveva la possibilità di passare ore davanti il proprio computer per “coppare” adesso ha perso il tempo e la voglia, lo smalto dei tempi che furono preferendo spostare la propria attenzione su altro. Non è un caso se Supreme nel suo passaggio a VF Corp ha deciso di cambiare la sua strategia, passando dall’essere un brand continuamente sold-out a uno che punta a non esserlo mai, anticipando o forse dettando il passaggio tra l’hype culture per come la conoscevamo alla sua versione 2.0. Allo stesso modo sono cambiati i valori e i gusti dei presunti membri dell'hype culture: una generazione cresciuta assieme alla street culture che, non più soddisfatta da un meccanismo impossibile da protrarre nel tempo, cerca la sua validazione in altri segmenti di mercato oltre che in una ricerca culturale più intensa.


L'hype culture non è mai scomparsa quindi, ma semplicemente è cambiata insieme a quella generazione che ne ha fatto parte e che, se prima era disposta a fare sacrifici per portarsi a casa una hoodie, adesso è pronta a fare lo stesso per un orologio. Un semplice cambio di mercato forse, ma anche la prova della commistione di interessi e ambiti diversi, quella che ha portato appassionati di sneaker a diventare appassionati di orologi. Se il mondo dello streetwear è ormai saturo e stanco, non più disposto a mettersi in fila per ore con il rischio di rimanere a mani vuote, il compito dei brand è quello di andare a trovare in altre nicchie quel pubblico che un tempo faceva i campout e le raffle, abituato a quel meccanismo folle e scriteriato chiamato hype e per questo pronto a riprendere in mano i bot di una volta.