Gli effetti della pandemia sull’editoria di moda
Una narrazione frammentata, il nuovo ruolo dei creatori, le sfide per le testate tradizionali
16 Febbraio 2022
Tra meno di un mese saranno passati esattamente due anni dal primo lockdown nazionale in Italia, due anni in cui nessun settore, ambito o attività è uscito indenne dall'emergenza sanitaria. Come nss magazine sta raccontando da qualche settimana, gli effetti che la pandemia sta avendo e continuerà ad avere sull'industria della moda non sono passeggeri, ma profondi e strutturali. Oltre alla questione delle supply chain, al ripensamento delle Fashion Week e l'inarrestabile successo del fast fashion, il Covid ha cambiato anche l'editoria di moda.
Per la maggior parte delle persone, le sfilate non sono mai state un luogo accessibile o un evento a cui partecipare attivamente. Ammirare con i propri occhi gli abiti che sfilano su una passerella è (ancora) un piacere riservato a pochi e proprio per questo motivo giornalisti, critici ed editor di moda hanno sempre svolto un ruolo fondamentale, quello di intermediari e mediatori tra industria e pubblico. Nel momento in cui l'emergenza sanitaria ha tolto questo privilegio a chi ne aveva goduto per decenni, brand e maison si sono dovute interrogare non solo sul ruolo dei loro show, ma soprattutto sul proprio, spesso arrivando alla conclusione di non aver bisogno di alcun intermediario, spostando la loro narrazione, organica ma figlia di una strategia ben precisa, sui propri canali social.
Le Fashion Week che in questi due anni non si sono potute svolgere in presenza sono state sostituite da show digitali, sfilate in streaming, conversazioni tra personalità di spicco, come quella tra Miuccia Prada e Raf Simons subito dopo il loro debutto insieme. "È interessante però vedere come a cambiare non siano stati i contenuti - su Instagram si ripetono i soliti formati, le review delle sfilate, le interviste con i creativi sulle loro fonti d'ispirazione, i consigli di stile. Dunque l'editoria ha perso la partita con il mezzo, la tecnologia, ma ora sta provando a riguadagnare terreno inglobando i professionisti e i creator che invece hanno saputo padroneggiarlo creando una connessione diretta con gli utenti” ha dichiarato a nss magazine Federica Salto, giornalista di moda, contributor per Vogue Italia e RivistaStudio e autrice della seguitissima newsletter La moda, il sabato mattina, diventata ormai un case study.
L'esempio più illustre in questo senso è rappresentato da @pam_boy, all'anagrafe Pierre Alexandre M’Pelé, ex studente della Central Saint Martins di Londra e collaboratore di Love Magazine, diventato seguitissimo su Instagram grazie alle sue recensioni delle sfilate fatte di sole emoji, in un intricato linguaggio di simboli personale ed intuitivo, molto apprezzato dal suo pubblico. Lo scorso novembre M’Pelé è stato nominato Head of Editorial Content per GQ France, di fatto compiendo il passaggio finale, spostandosi dalla sponda dei creator a quella dei media tradizionali, portando con sé i suoi quasi 50mila follower, e l'autorevolezza che gli riconoscono. Un percorso non dissimile da quello di Margaret Zhang, che grazie al successo del suo blog Shine By Three e al suo talento multitasking è diventata la più giovane Editor in Chief di Vogue China. Con un milione e mezzo di follower su Instagram, Zhang dovrà fare da anello di congiunzione tra l'editoria cartacea e il mondo digitale.
Che i social media e in particolare Instagram abbiano dato modo a editor e giornalisti di costruirsi un brand personale, instaurando un rapporto diretto con chi li segue, non è certo una novità legata alla pandemia. Con l'emergenza sanitaria, però, è diventato evidente che la capacità di catalizzare l'attenzione e di monetizzarla non è più appannaggio di strutture tradizionali come i magazine di moda, ma dei singoli creator. Con piattaforme come Substack e TinyLetter per le newsletter, ad esempio, giornalisti e scrittori possono guadagnare direttamente grazie al proprio lavoro e al contributo di chi li segue. O possono scegliersi addirittura il loro pubblico, come Rachel Tashjian, aka @theprophetpizza, critica di GQ USA, la cui newsletter è su invito. Cercare di far sentire la propria voce, per quanto inebriante e liberatorio, su piattaforme in cui vince chi grida di più può presentare anche dei rischi. "Il ruolo intatto di critici non è quasi mai esistito nella moda, perché il sistema di accesso agli eventi, alle collezioni e ai meccanismi del sistema non permette una totale integrità di chi lo racconta. Su Instagram il rischio di scrivere per compiacere è doppio, perché non si inseguono solo i brand ma anche gli utenti. Oggi si tende a puntare il dito contro il vecchio sistema, ma il nuovo, dominato dall'algoritmo, presenta altrettante insidie. A prescindere dal 'dove', invece, l'obiettivo deve essere la storia”, continua Federica Salto.
Il risultato finale è una narrazione estremamente frammentata, ma in qualche modo più aperta e democratica. "Elitari erano e sono i mezzi - i giornali molto costosi, gli abbonamenti ai siti. I nuovi contenuti invece sono quasi sempre gratuiti e facilmente reperibili, in questo possiamo considerarli più pop. Ma ricordiamoci che non si sostengono economicamente da soli e, quindi, presto si trasformeranno in servizi a pagamento, almeno in parte” spiega Federica Salto. "Il mancato padroneggiamento della tecnologia e il non ascolto del lettore insieme hanno fatto molti danni, ma il peggior nemico dei giornali (soprattutto di quelli tradizionali e soprattutto nelle loro versioni digitali) è lo smodato spazio dato a pubblicità e contenuti advertorial spesso completamente privi di qualità”.
I cambiamenti nell'editoria di moda legati alla pandemia non hanno portato ad una messa in discussione del lavoro di figure come Vanessa Friedman, diventato se possibile ancora più necessario e prezioso, ma hanno dato risalto anche a chi non fa parte di organizzazioni prestigiose come il New York Times. Il discorso sulla moda e le riflessioni sugli abiti si sono infiltrati su Instagram, tra una Story e l'altra di un aperitivo, su TikTok, in una miriade di format diversi. L'interesse per i look e soprattutto per gli stylist di Sanremo è un'ottima notizia che fa ben sperare, ma che soprattutto dovrà far riflettere i media tradizionali su quale sarà il loro futuro nei prossimi anni.