La storia dell'estetica biker
Dopo Rosalìa e Motomami, arrivano Austin Butler e Motopapi
21 Giugno 2024
A due giorni dall'uscita nelle sale italiane di The Bikeriders, film tratto dal libro fotografico di Danny Lyon, diretto da Jeff Nichols e con Austin Butler e Tom Hardy, si intravede nelle scene che ritraggono le subculture dell'America di fine anni 60 il ritorno di un'estetica che nel mondo della moda è stata iper-celebrata. A partire dal 2022, con l'uscita del disco di Rosalìa, Motomami, e la nomina della nuova creative director di Harley-Davidson, Louise Goldin, i chiodi di pelle, i caschi integrali e il colore rosso fuoco hanno subito un'impennata di interesse da parte della fashion industry, ma il mondo del biking aveva una gigantesca influenza sulla moda da ben prima, con la Motorcycle Jacket di Saint Laurent o l'evoluzione dello stile nel mondo LGBTQ+. Resta che, da quando le prime note dello studio album di Rosalìa hanno riecheggiato nelle cuffie dei designer delle maggiori maison, l'estetica è stata praticamente riscritta. Con l'arrivo di The Bikeriders sul grande schermo, ci ritroviamo di fronte alla sua rivincita.
La cosiddetta biker fashion come la conosciamo è tutta il prodotto un film con protagonista Marlon Brando, Il Selvaggio, diretto nel 1953 da László Benedek – nel film Brando indossava il Perfecto creato nel 1928 da Irving Schott. Nel Il Selvaggio, faceva la sua prima comparsa il personaggio del biker, nuovo fuorilegge, parente del cowboy, che viveva una vita al limite nei morigerati anni ’50. Essenzialmente, la biker fashion non si è spostata dal blueprint creato da Brando in quel decennio – andando rafforzandosi con cult movie come Easy Rider (1969), Mad Max (1979) e The Loveless (1981) fino al recente successo di una serie come Sons of Anarchy e Mayans M.C.
Le uniche due addizioni notevoli allo stile originale si ebbero negli anni ’60 e ’70: negli anni ’60 i motorcycle club come i celebri Hell’s Angels iniziarono a personalizzare gilet e giacche decorandole con le proprie insegne e strutturando intorno alla motocicletta (spesso una Harley-Davidson) il loro intero lifestyle, rafforzando il binomio biking/crimine; il secondo si ebbe quando i Ramones, nel corso degli anni ’70, introdussero lo Schott Perfecto nella divisa del punk, consacrandone l’heritage per decenni a venire. Nel frattempo l’estetica biker si era espansa nella musica, con Elvis e Vince Taylor o la band alt-rock Black Rebel Motorcycle Club, e persino nei fumetti, con il lancio del personaggio di Ghost Rider nei fumetti Marvel avvenuto nel 1972.
Durante tutto questo tempo, tra alti e bassi, Harley-Davidson non era solo diventato il principale produttore di motociclette degli USA ma aveva iniziato a espandersi nel campo lifestyle. Il dato interessante, qui, è che le giacche di pelle che normalmente associamo al riding sostiuirono negli anni ’20 la lana come outerwear protettivo, in quanto le motociclette diventavano sempre più veloci e la lana non proteggeva dalle correnti d’aria. Coincidentalmente, la prima moto a superare i 160 km/h nel 1921 fu proprio una Harley-Davidson che, specialmente dopo la Grande Depressione, rimase praticamente l’unica casa motociclistica sul mercato americano e, un anno prima, nel 1928, Irving Schott aveva creato il primo Perfecto – che è forse il perno simbolico intorno a cui ruota l’intera estetica dei biker. Dal canto suo Harley-Davidson produceva equipaggiamento da riding già nel 1912 e continuò a produrne per tutti i decenni successivi. Nel corso degli anni ’70 e ’80 vennero prodotte le celebri t-shirt con logo di Harley-Davidson, che adottarono un immaginario fatto di aquile, bandiere a stelle e strisce, lupi ululanti, fulmini, teschi alati e via dicendo. Nel 1989, la nipote del founder Karen Davidson, dopo aver studiato fashion design, entrò a far parte ufficialmente dell’azienda di famiglia e divenne la direttrice creativa della linea di abbigliamento ricevendo, tre anni dopo, un premio da parte del Council of Fashion Designers of America per aver portato la biker fashion nel mainstream.
Nel 2016, secondo WWD, il merchandise aveva fruttato 292 milioni di dollari al brand e, nei primi nove mesi del 2021, le vendite di general merchandise sono salite del 14% con una revenue di 155 milioni di dollari nell’ambito di una solida ripresa economica dopo la crisi del 2020. Nel frattempo l’estetica biker aveva trovato nuova vita con prodotti best seller come la Motorcycle Jacket di Saint Laurent, i Biker Pants di Balmain e la Motorcycle Bag di Balenciaga e la Biker Jacket di Celine. Nel febbraio del 2021, Harley-Davidson ha ritirato i propri prodotti da Amazon per concentrarsi su «un e-commerce digitale e pienamente integrato con i nostri dealer», come spiegò il CEO Jochen Zeitz. Questa mossa fu il primo passo di un progetto quinquennale battezzato The Hardwire e lanciato proprio da Zeitz, che prevedeva un generale rafforzamento del ruolo di Harley-Davidson sul mercato incluso dal punto di vista dell’apparel. La mania dei loghi e del vintage, oltre che il suo status di icona americana, fece spuntare l’apparel di Harley-Davison addosso a Kanye West, Rihanna, Justin Bieber, Miley Cyrus e Bella Hadid, facendo diventare di culto le t-shirt vintage targate Harley-Davidson, mentre nel 2022, l’appointment di Louise Goldin e l’apertura di uno studio creativo a New York dimostrò la volontà di portare questa estetica molto più avanti.
Negli anni, nemmeno un designer geniale come Demna è riuscito a modificare radicalmente l’uniforme dei biker firmando giubbotti e stivali per Balenciaga negli scorsi anni – proprio perché di un’uniforme si tratta. Qualunque update a quella uniforme deve venire da chi l’ha fondamentalmente inventata, e cioè due possibili brand: Schott, responsabile dell’iconico Perfecto, e Harley-Davidson stessa, che invece rappresenta l’intero lifestyle dei biker americani. Mentre il mondo del vintage diventa sempre più importante per la sua inerente realness, il cinema, la moda e la musica ne celebrano l'estetica, riportandola in prima fila.