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Il potere dei nomi nella moda secondo la legge

Abbiamo chiesto alla dottoressa di giurisprudenza Lucrezia Massa Finoli cosa dice la legge sulla tutela del nome nei brand di famiglia

Il potere dei nomi nella moda secondo la legge Abbiamo chiesto alla dottoressa di giurisprudenza Lucrezia Massa Finoli cosa dice la legge sulla tutela del nome nei brand di famiglia
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
La famiglia Zegna
La famiglia Ferragamo
La famiglia Gucci
La famiglia Versace

Un nome è qualcosa di molto potente, specialmente nel mondo della moda. Prima di conoscere il linguaggio e i codici estetici di un brand, ne conosciamo il nome. Tanto che i più avversi al concetto della logomania si lamentano spesso che un certo prodotto sia semplicemente un oggetto banale con un nome stampato sopra – ma è precisamente nelle poche lettere di quel nome che si nasconde il potere di un brand. Spesso questi nomi sono condivisi, come capita nel caso dei marchi di moda a conduzione familiare che, specialmente in Italia, sono moltissimi: dinastie come i Gucci, i Prada, i Ferragamo, i Versace, i Zegna e via dicendo, sono da decenni al timone di aziende che rappresentano il meglio del proprio settore. Ma un nome condiviso è anche un nome che può disperdersi – e disperdendosi può sottrarre potere al brand che quel nome rappresenta. 

La famiglia Gucci
La famiglia Ferragamo
La famiglia Versace
La famiglia Zegna

Questo fu il caso, ad esempio, di Paolo Gucci, nipote del founder di Gucci, che volle a tutti i costi mettersi in proprio andando contro la famiglia e innescando una tempesta di cause legali che durarono anni. Secondo la dottoressa in giurisprudenza Lucrezia Massa Finoli, intervistata nss magazine, infatti «chi vuole usare il proprio nome per fini commerciali anche se questo corrisponde a un marchio già registrato può farlo a patto che l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale, né deve indebitamente avvantaggiarsi dall’utilizzo dello stesso nome né ledere la fama del precedente titolare del marchio» ovvero deve presentarsi come entità del tutto autonoma e separata, completamente riconoscibile come prodotto esterno al brand originario - un confine sottile che nel caso di Paolo Gucci si riferiva forse all’uso improprio del nome di famiglia. Non di meno, la causa vinta a New York nel 1988 dallo stesso Paolo Gucci per l’uso del suo nome completo PAOLO, BY PAOLO GUCCI sui suoi prodotti sposta l’argomento verso quello degli accordi di coesistenza tra brand.

Ma, sempre secondo Massa Finoli, «il raffronto tra i marchi va valutato in concreto» in quanto quando si parla di brand che recano il nome di una famiglia o del proprio designer, che in giurisprudenza si definiscono patronimici, esiste una sorta di zona grigia: da un lato infatti ogni persona «conserva il diritto di utilizzare il proprio nome sulla base della valutazione dei principi della correttezza professionale» mentre allo stesso tempo «potrebbe determinare un rischio di confusione per i consumatori». Proprio l’idea di «confondibilità» diventa l’ago della bilancia nella questione – il motivo per cui due brand come Mario Valentino e Valentino Garavani sono riusciti a stipulare il loro accordo di coesistenza (che cioè disciplinano l’utilizzo simultaneo di due marchi potenzialmente simili tra loro) nel ‘79 portando tra l’altro alla nascita del celebre V Logo del  secondo brand e all’obbligo per Mario Valentino di inserire il proprio nome completo in tutte le borse. Uno dei casi più eclatanti ma meno conosciuti, invece, verificatosi al di fuori del mondo della moda, è stato «l’accordo di coesistenza del 1981 tra Apple Corps (di proprietà dei Beatles) e Apple Inc. (di proprietà di Steve Jobs) attraverso il quale si prevedeva la coesistenza pacifica dei due marchi sul mercato a patto che la Apple Inc. non avrebbe mai operato nel settore musicale così come la Apple Corps sarebbe rimasta fuori dal settore informatico».

Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton
Mario Valentino by Helmut Newton

Altra questione riguarda i discendenti del founder di un brand che vogliono usare il proprio nome a fini commerciali, come nel caso di Guccio e Alessandro, figli di Giorgio Gucci. In quel caso «la cessione del marchio patronimico implica la perdita per il titolare della possibilità di utilizzo del proprio nome come marchio». Non di meno, quel nome può essere utilizzato nel rispetto dei «principi di correttezza professionale» ma anche in modo tale da «non ingenerare rischi di confusione tra i consumatori». La questione della cessione dei propri nomi ha numerosi precedenti nel mondo della moda: Jil Sander, Thierry Mugler, Martin Margiela, Ann Demeulemeester, Helmut Lang, Halston, John Galliano e Donna Karan sono tutti esempi di designer che hanno venduto i trademark legati al proprio nome, perdendo i diritti all’uso dello stesso e generando confusione in casi come quello della collaborazione tra Uniqlo e la designer Jil Sander, che hanno firmato una collezione di nome J+ in quanto, come ha specificato a nss magazine una rappresentante del marchio «il brand porta il suo nome, ma la Sig.ra Sander non è più legata alle attività della maison».

Non è un caso se i designer-star della nuova generazione come Alessandro Michele, Hedi Slimane, Kim Jones, Matthew Williams o Phoebe Philo siano sempre stati molto attenti a non sovrapporre mai il proprio nome a quello del brand per cui lavoravano, utilizzandolo solo nel caso di collaborazioni a sé stanti. Una tendenza che ha evidenziato come, per i designer di oggi, memori del passato, il marchio patronimico sia diventato un bankable asset, dotato di un valore intrinseco unico, che tutti i designer del futuro dovranno imparare a difendere se non vogliono seguire il destino di Paolo Gucci.