È iniziato l’effetto "House of Gucci"
I critici non l’hanno amato ma il mercato del vintage è già in fiamme
24 Novembre 2021
L’avanzata di House of Gucci, il nuovo film di Ridley Scott con Lady Gaga, è appena cominciata, con première nazionali e viewing party organizzati per influencer e VIP in mezzo mondo, le prime divisive recensioni e i clip del film che invadono i social media. E anche se il film non è ancora nemmeno arrivato in sala per il pubblico, il buzz mediatico inizia già a fare sentire i suoi effetti: su Vestiaire Collective, le ricerche di articoli Gucci sono aumentate del 25%, con articoli del brand messi in vendita aumentati dell’80% mentre le ricerche di item vintage di Gucci sono aumentate del 35% e quelle dei pezzi disegnati nelle collezioni di Tom Ford del 40%. Gli item più ricercati sono le borse, anche loro con un aumento di ricerche del 40%, seguite a ruota da cinture e gioielli ma anche cappelli monogrammati e accessori – un effetto che però, secondo Vestiaire Collective, non è dovuto soltanto al film ma anche a progetti del brand come Gucci Vault.
Il dato più curioso però è che il fatto che le ricerche di vintage si siano concentrate su accessori logati ha un corrispettivo nel film, in cui in realtà la massiccia presenza di accessori vintage di Gucci è controbilanciata da quella degli altri brand indossati dai veri personaggi storici: Zegna ha firmato i 14 completi di Adam Driver e Al Pacino mentre la costumista ha incluso Saint Laurent e Max Mara, tra gli altri, nei 54 look di Lady Gaga mentre, ad esempio, il vestito rosso con fiocchi sulle spalle che appare in una delle prime scene del film è un rifacimento di un vestito da sera rosa della collezione FW87 Couture di Chanel. Il che è in realtà un ritratto preciso della moda anni ‘80 in cui i brand erano specializzati in precise categorie di prodotti e non in total look e, soprattutto, Gucci era più popolare negli accessori che nel ready-to-wear. La costumista, intervistata da WWD ha spiegato:
«Negli anni ’70, i design di Gucci erano ciò che definirei “rotondi e marroni”, con un sacco di pezzi in tweed molto tradizionali. A essere onesti, Patrizia Reggiani indossava pochissimi pezzi di Gucci. Indossava Yves Saint Laurent, indossava Dior, anche se ovviamente borse, cinture e accessori erano di Gucci – che erano i prodotti di punta già dagli anni ’40. […] Ho scoperto molto in fretta che le celebrità dell’epoca non indossavano Gucci ma indossavano cinture, valigie, scarpe e sciarpe di Gucci».
Altro fattore del fenomeno mediatico di House of Gucci sono però anche le luci che il film getta su vicende molto poco piacevoli della storia del brand: non è un mistero che, prima dell’arrivo di Tom Ford, il brand stesse affrontando problemi economici legati sia ai conflitti dinastici interni alla famiglia fondatrice sia alla policy di licensing selvaggio promossa da Aldo Gucci che aveva diluito immensamente la brand equity, portando la direttrice creativa Dawn Mello (che non è presente nel film e che diresse le collezioni del brand dal 1989 al 1994) a dire al New York Times: «Nel 1989, nessuno sognava di indossare Gucci». Altro aspetto portato in luce dal film sono i maneggi finanziari e le molte evasioni fiscali che portarono la famiglia Gucci a guadagnare ingenti somme di denaro e ad avere problemi con la legge. Tutto cambiò con l’arrivo di Kering, che infatti, dal punto di vista del marketing, si è tenuta a prudente distanza dal film, vestendo le sue star per la première mondiale ma non facendosi coinvolgere eccessivamente. Nondimeno il buzz mediatico del film non può che portare visibilità e notorietà al brand: secondo BoF, ad esempio, il film ha generato oltre 25.000 post tra news e social media generando una visibilità online di un valore che Launchmetrics ha quantificato per 104 milioni di dollari e che, fra l’altro, si inserisce perfettamente nella grandiosa strategia di attivazioni, drop, collaborazioni e iniziative che il brand ha avviato in occasione del suo centenario.