Quale sarà il futuro di Bottega Veneta dopo Daniel Lee?
Dopo un divorzio improvviso, il brand cerca una nuova strada
12 Novembre 2021
Se cercassimo la definizone di "colpo di scena" sul dizionario, molto probabilmente troveremmo uno screenshot del tweet di Vanessa Friedman in cui annunciava la separazione tra Daniel Lee e Bottega Veneta. La notizia dell'addio del designer britannico è arrivata come un fulmine a ciel sereno interrompendo quello che sulla carta sembrava essere un matrimonio perfetto destinato a durare anni, aprendo immediatamente le porte a mille interrogativi tanto sulle cause del divorzio quanto sul futuro. Secondo WWD, alla base dell'addio ci sarebbero delle tensioni nate all'interno dell'ambiente di lavoro dovute principalmente all'atteggiamento di Lee e arrivate a un punto di non ritorno durante l'organizzazione dello show del brand a Detroit. Come scritto su Twitter da Christina Binkley, la scelta da parte di Kering di comunicare l'addio di Daniel Lee il giorno dei CFDA Awards, gli Oscar della moda in cui l'ex Bottega aveva due nomination, sembrerebbe essere non casuale a testimonianza della rottura netta tra le due parti.
La scelta di dire addio al suo direttore creativo rimane una mossa decisamente azzardata da parte del gruppo Kering, che in un colpo solo si priva tanto di una personalità in ascesa nell'industria della moda ma soprattutto del demiurgo della nuova identità del brand - ribattezzata "New Bottega" - che non è esagerato definire come l'operazione più interessante ed eccitante degli ultimi anni. Lee è riuscito a fondere lo spirito dello hype con l'immagine del lusso di Bottega in una maniera molto elegante ma allo stesso tempo riuscendo ad ottenere l'endorsment dell'intera industria e una notevole rinascita economica dopo la flessione vista sotto la direzione di Tomas Maier. Con ben undici collezioni all'attivo, i tre anni di Lee hanno visto soprattutto la nascita e l'affermazione del "Verde Bottega", diventato sinonimo del brand in un lasso di tempo da record soprattutto, come fatto notare da Vanessa Friedman, se paragonato al tempo impiegato da Tiffany per imporre il suo blu o da Christian Louboutin per il suo rosso. L'ultima collezione - presentata nella sfilata di Detroit di un mese fa - ha attirato qualche critica per l'assenza di novità o statement item come nelle sfilate precedenti. Eppure è normale - anzi quasi salutare - per un brand e i designer prendersi delle sfilate di "riposo" proprio per evitare quella spirale di aspettative che spinge i brand verso una spasmodica ricerca del brillante e che inevitabilmente porta al "salto dello squalo".
Ma se da un lato il successo di Bottega sotto Lee è innegabile, dall'altro le vendite dell'ultimo anno ci raccontano di un brand in cui solamente il 7% dei suoi ricavi proveniva dal ready-to-wear, mentre il 74% arrivava dalla pelletteria e il 16% dalle scarpe per un totale di vendita che costituiva il 9% delle vendite del gruppo Kering. Per questo, se dovessimo parlare di cambiamento, non sarebbe da escludere la possibilità di intraprendere una strada in cui, accanto a un mantenimento di quelli che sono ormai diventati gli staple del brand, possa trovare spazio un ready-to-wear capace di fare veramente la differenza. Ma cosa succederà adesso? Difficile dirlo, forse impossibile, ma fare supposizioni è decisamente lecito. Nel comunicato diffuso ieri da Kering, il gruppo assicura che presto verranno annunciati i piani per una "nuova organizzazione creativa" lasciando intendere, o forse no, la possibilità di non vedere un singolo nome al comando ma un gruppo di designer che possa portare avanti quanto di buono fatto da Daniel Lee senza interrompere quello che di fatto è stato il direttore creativo meno longevo della storia del brand.
Nel ventaglio delle possibilità per un nome che possa prendere il comando, sicuramente c'è quello di Matthieu Blazy, design director arrivato alla corte di Bottega a giugno dello scorso anno dopo aver ricoperto lo stesso ruolo da Calvin Klein nell'epoca di Raf Simons. Tra i protetti del designer belga, Blazy è stato anche designer di Margiela fino all'arrivo di Galliano nel 2014 e rappresenterebbe un nome ideale pienamente inserito nelle dinamiche di Kering, solita a "promuovere" un nome già presente all'interno del brand come nel caso di Gucci e Alessandro Michele. Decisamente più complessa la strada che porta a Phoebe Philo, ipotesi suggestiva per moltissimi motivi ma impraticabile per molti altri: dal lancio del suo nuovo brand annunciato a luglio al legame stretto con il gruppo LVMH che fa somigliare l'idea di vedere la designer francese alla guida di Bottega Veneta a una di quelle suggestioni da calciomercato estivo. Qualsiasi sarà la scelta, le pagine di moda scritte da Daniel Lee rimaranno nella storia non solo di Bottega Veneta, ma nell'intero fashion system rappresentando senza dubbio le fondamenta su cui il suo erede, chiunque possa essere, dovrà costruire il futuro del brand.