Un'azienda di pelletteria di moda è indagata per sfruttamento del lavoro
L'attività, nei pressi di Firenze, era subappaltatrice di Burberry
11 Giugno 2021
L'agenzia Reuters ha riportato in questi giorni la notizia dell'arresto da parte della Guardia di Finanza di Firenze di una coppia di imprenditori cinesi, accusati di gestire un'attività di pelletteria che sfruttava diversi lavoratori e che era indiretta fornitrice di Burberry.
I due gestivano l'azienda di pelletteria Samipell Srl, con sede nella periferia di Firenze, che lavorava come subappaltatore di Tivoli Group SpA, fornitore diretto di Burberry. Secondo le indagini condotte dalla GdF, gli imprenditori avrebbero sfruttato lavoratori immigrati provenienti da diversi paesi (Bangladesh, Cina, Pakistan), obbligandoli a lavorare fino a 14 ore al giorno per poco più di 3 euro all'ora, in alcuni casi anche alla metà di questa cifra. Secondo quanto emerso dalle intercettazioni tra uno dei cittadini cinesi indagati e un dipendente di Tivoli, la Samipell Srl era impegnata nella produzione delle borse Title, una bag Burberry venduta a circa 1.500 euro, per cui l'imprenditore era pronto a far lavorare i suoi dipendenti anche tutta la notte se necessario.
L'Italia rappresenta a livello globale il 40% della produzione manifatturiera per l'industria della moda e del lusso, e in particolare la Toscana è un territorio d'eccellenza per la produzione artigianale e di pelletteria, un posto in cui la filiera produttiva è organizzata in diversi livelli: i grandi brand e la maison affidano la produzione delle borse a dei "gruppi", aziende gestite solitamente da imprenditori italiani, i quali a loro volta subappaltano il lavoro a dei subfornitori, per assemblare e cucire le pelli. In molti casi questi subfornitori utilizzano manodopera a nero e sfruttano i lavoratori, di diverse nazionalità, costringendoli a lavorare per turni di 14 o 15 ore al giorno.
Un caso simile a quello avvenuto nei pressi di Firenze si è verificato qualche giorno fa in una pelletteria cinese a Poggio a Caiano, in provincia di Prato, subfornitrice questa volta di Chloé. L'azienda, che lavorava per una compagnia italiana, l'unica ad avere rapporti con la maison francese, è indagata per lo sfruttamento di 18 lavoratori, cinesi e africani.