Il successo di Shein è la prova che il fast fashion non è morto
Con un fatturato da 10 miliardi di dollari, l'e-commerce cinese è una delle app di shopping più scaricate al mondo
10 Giugno 2021
Nel corso dell'ultimo anno, mentre l'emergenza sanitaria e il lockdown ridefinivano le nostre abitudini di shopping, si sprecavano le riflessioni e le previsioni su quanto questi cambiamenti sarebbero stati duraturi, su come ci saremmo convertiti definitivamente ad una moda più etica e sostenibile. Se almeno in parte questo è accaduto, con il successo di app dedicate al second-hand come Depop e Vinted, dall'altra l'espansione vertiginosa di un'e-commerce di ultra fast fashion come Shein dimostra che vestiti e magliette al prezzo di due, cinque, massimo 10 euro, sono un affare ancora troppo appetibile per rinunciarvi. Ma come ha fatto Shein a diventare l'app di shopping più scaricata negli Stati Uniti? (In Italia è al secondo posto nella categoria shopping, tra Vinted, al primo post, e Amazon).
Un passato avvolto nel mistero
Il founder di Shein ha riscritto la definizione di "essere schivo". Chris Xu, conosciuto anche come Sky Xu o col suo nome cinese Yangtian Xu, ha fondato Shein (allora col nome SheInside) nel 2008, scomparendo da subito dietro il brand, non rilasciando mai interviste e non apparendo mai in nessuna foto, al punto che perfino il brand Shein non ha una pagina su Wikipedia. Secondo quanto ricostruito da diversi articoli della stampa americana e dalla newsletter Not Boring, Shein avrebbe iniziato a vendere sul mercato americano, tra il 2008 e il 2012, abiti da sposa, un successo immediato garantito dai prezzi ultra competitivi del brand. A partire dal 2015 l'azienda si spostò a Canton, nel distretto di Panyu, centro della manifattura tessile cinese, un territorio poco colpito dalla pandemia, che infatti ha continuato a produrre anche nei mesi di lockdown e di emergenza. L'offerta si è allargata quindi all'abbigliamento femminile, da uomo, da bambini, accessori, con un grande punto di forza: una gamma di taglie molto ampia, che riesce ad accontentare un pubblico enorme.
Nonostante l'origine cinese, Shein non vende in Cina, ma solo all'estero, escamotage che gli permette di non dover entrare in competizione con giganti del settore locali, come Alibaba e Taobao. Il brand opera solo digitalmente, mettendo in vendita la merce direttamente dalle sue fabbriche, senza passare per intermediari e azzerando così i costi. Si parla di un ritmo di produzione da ultra fast fashion, con una media di 4.000 nuovi item caricati sul sito ogni giorno, numeri che fanno impallidire i cicli già insostenibili di brand come Zara e H&M, che introducono nuove collezioni e item di settimana in settimana. Nel 2020 Shein ha registrato un fatturato di 10 miliardi di dollari, più del doppio rispetto all'anno precedente, ma in linea con la crescita annua registrata dal brand negli ultimi otto anni, stabile al +100%. Shein figurava persino tra i possibili acquirenti dell'Arcadia Group, il mega gruppo che controllava Topshop e Topman, acquisito invece da ASOS lo scorso febbraio, e per il quale il brand cinese avrebbe offerto $412 milioni di dollari, più di quanto offerto da ASOS.
Il focus sui social media e il fascino sulla Gen Z
Per un brand che non ha una vera identità stilistica né un'estetica riconoscibile (tanto che le accuse di aver copiato molti designer emergenti è diventata pane quotidiano per Shein), ma che si limita invece ad intercettare ad una velocità impressionante i trend e gli item del momento, verrebbe da chiedersi dove sta il segreto di tanto successo. La risposta è semplice: nei prezzi. T-shirt a 6 euro, costumi da bagno a 11 euro, borse incredibilmente simili a quelle di By Far a 10 euro (quelle originali costano centinaia di euro) e sandali "ispirati" a quelli di Bottega Veneta. Il design e il funzionamento del sito è pensato proprio per indurre a comprare continuamente e sempre di più, con un sistema di fidelizzazione dei clienti che passa attraverso una raccolta di punti che assicura sconti, anche minimi, all'acquisto successivo, e che è continuamente alimentata da ribassi, promozioni e codici sconti.
Passa anche da qui il tipo di strategia social che il brand ha messo in piedi, che fa affidamento su micro influencer e creator a cui vengono inviati vestiti gratis e un codice sconto per i propri follower, modalità utilizzata anche su YouTube, dove i video di haul, grande maratone di shopping, sul sito del brand sono replicati in ogni lingua e paese. La pagina Instagram del brand, che al momento conta oltre 20 milioni di follower, è popolata da immagini user generated, selfie di veri acquirenti del marchio, che rendono più autentica la narrazione del brand e che in questo modo rendono i propri prodotti ancora più desiderabili. Un metodo simile a quello usato su TikTok, dove l'hashtag #sheingals, che raccoglie tutte i video delle ragazze in abiti Shein, conta 924 milioni di visualizzazioni, rendendo evidente la forza della Gen Z e la sua centralità per il successo del brand.
E l'attivismo social?
Dimezzati i tempi di consegna (in Italia prima ci voleva circa un mese perché un ordine arrivasse, oggi siamo intorno ai dieci giorni), tra le recensioni dell'app di Shein e i commenti che si leggono online l'aspetto di cui più consumatori si lamentano è la bassa qualità dei capi e un fit tutt'altro che soddisfacente. Non ci sarebbe da sorprendersi, visti i prezzi dei capi, ma proprio qui appare evidente un limite di chi compra questo tipo di brand, e lo fa per ragioni stilistiche, spinto dal desiderio di comprare tanto e a basso prezzo, non per ragione dettate dalle proprie disponibilità economiche insomma. Sia che si tratti di consumatori appartenenti alla Gen Z o meno, è chiaro che non si conosce il vero prezzo, concreto e figurato, dei vestiti, o meglio, cosa significhi pagare due euro una maglietta e in che modo questo influenzi le condizioni di lavoro nelle fabbriche di Shein e i salari dei suoi dipendenti. Dal punto di vista della sostenibilità ambientale, inoltre, Shein è sempre rimasto molto vago sulle proprie policy per tutelare l'ambiente e sulla provenienza dei propri tessuti, e come riporta anche Remake ha totalizzato zero stelle nel report sulla sostenibilità.
Se solo qualche mese fa si discuteva molto - quanto meno online - dell'opportunità di boicottare il fast fashion, tanto per ragioni etiche che "green", le istanze sembrano scomparire in questo loop continuo di shopping compulsivo, che a prezzi stracciati spinge e quasi obbliga a comprare di continuo, una strategia che ha fatto la fortuna di Shein nei mesi del lockdown, quando il confinamento a casa e la noia ha spinto tutti a scrollare per ore intere. Un trend che sembra continuare anche con la fine dell'emergenza sanitaria.