Da Condé Nast c'è una rivolta contro Anna Wintour
I sindacati hanno organizzato un picchetto sotto la sua casa nel West Village, a New York
08 Giugno 2021
Sono stati mesi piuttosto complicati per Condé Nast, uno dei gruppi editoriali più potenti del mondo, che oltre a Vogue - in tutte le sue 21 diverse edizioni nazionali - controlla anche The New Yorker, W, Glamour, Marie Claire, GQ, Wired, Architectural Digest, WWD, Vanity Fair, e che vede nella figura di Anna Wintour il massimo comandante in capo, dopo la nomina dello scorso dicembre a Chief Content Officer di tutti i magazine di Condé Nast, oltre che Global Editorial Director di Vogue. Nonostante infatti i tagli dettati dalla pandemia, le proteste scaturite con il movimento BLM e una generale richiesta di cambiamento dopo 32 anni di leadership, Wintour è rimasta ben salda nella sua posizione.
Nonostante le ristrutturazioni interne e l'accentramento del potere nelle mani di Anna Wintour, The New Yorker ha mantenuto la sua indipendenza, non piegandosi al controllo diretto della Wintour. Ed è proprio dal sindacato della storica rivista americana, The New Yorker Union, che è partita una protesta che in insieme ad altri sindacati, come quello di Pitchfork, testata autorevolissima del settore musica, e Ars Technica Unions, e capitanata dalla NewsGuild Of New York, il sindacato dei giornalisti americani, sta arrivando in queste ore alla sua massima espressioni. Le diverse sigle sindacali hanno infatti annunciato un picchetto sotto la casa della stessa Anna Wintour nel West Village. Come hanno spiegato i sindacati anche su Instagram, dopo mesi di richieste e negoziazioni per contratti più equi e salari più alti, il picchetto è l'ultimo passo prima di uno sciopero generale.
Nel momento più drammatico della pandemia, ad aprile 2020, Condé Nast aveva annunciato tagli agli stipendi e un generale ridimensionamento delle ore di diversi dipendenti e freelancer, tagli che avevano coinvolto tanto la divisione americana del gruppo quanto le sue diramazioni a Londra, in Italia e a Parigi. La stessa Anna Wintour aveva visto il proprio stipendio ridotto del 20%, salvo tornare a livelli pre-pandemia già a settembre dello scorso anno, una notizia che aveva generato un certo malcontento tra gli impiegati di Condé Nast, dato che Wintour è notoriamente una delle figure più pagate del gruppo. A maggio dello scorso anno Condé Nast aveva inoltre annunciato il licenziamento di 100 dipendenti, mettendone in aspettative altrettanti, tagliando ore lavorative e stravolgendo di molto l'organizzazione interna, in un tentativo per nulla nascosto di tagliare i costi.
I vari tagli e ristrutturazioni coincisero con i primi scontri tra il sindacato del New Yorker e i manager dell'azienda, in seguito alla richiesta del sindacato di inserire un criterio di "giusta causa" nei contratti, un modo per evitare licenziamenti indiscriminati e tutelare i posti di lavoro. Dopo le proteste di BLM e le varie accuse contro Wintour e Condé Nast di aver creato e favorito un ambiente di lavoro non inclusivo e che favoriva l'avanzamento di carriera di persone bianche, culminato nell'affaire Teen Vogue, in cui la neo editor Alexi McCammond fu costretta a dimettersi dopo il ritrovamento di suoi vecchi tweet razzisti, i vari sindacati avevano messo in luce anche i diversi salari che spettano ai membri della comunità nera, ispanica, o asiatica, in media di gran lunga inferiori rispetto a quelli dei loro colleghi bianchi.
Sebbene le proteste vadano avanti da oltre un anno, sembra essere arrivato un momento cruciale nelle richieste e soprattutto nelle azioni intraprese dai sindacati, che ritrovandosi sotto il lussuoso appartamento di Anna Wintour vogliono lanciare un segnale forte, che va oltre i semplici salari, ma che vuole invece essere un monito per un cambiamento più grande, per una ristrutturazione profonda, che parta dalla donna che ha guidato Vogue per trent'anni.