Perchè il metodo di Alessandro Michele è un esempio per la moda
Il modus operandi del designer dimostra come creare un ambiente creativo più sano per la moda
16 Aprile 2021
Dopo gli insistenti rumor della scorsa settimana sulla possibilità di una collaborazione fra Gucci e Balenciaga, il brand ha presentato ieri la propria collezione intitolata Aria con un fashion film co-diretto da Alessandro Michele e Floria Sigismondi. La collezione celebrava il centenario del brand ed era essenzialmente un collage di tutti i vari elementi che fanno parte del DNA di Gucci, dai richiami all’Hotel Savoy di Londra, dove Guccio Gucci lavorò negli anni ’20, fino ad alcuni design dell’era di Tom Ford. Si è trattato di un Gucci nella sua forma più definitiva finora, un amalgama di idee pre-esistenti e concetti evolutisi nel tempo che sono stati essenzialmente reinterpretati e curati da Alessandro Michele.
La bellezza della collezione risiedeva nella varietà di elementi che la componevano, evidenziando il particolare modus operandi di Alessandro Michele, la sua maestria nel curare “compilation creative” sviluppata nel corso delle ultime stagioni – una metodologia di lavoro che, più in generale, mette in discussione la maniera in cui i moderni fashion designer dovrebbero svolgere la propria funzione creativa.
Uno dei principali argomenti di discussione interni ai circoli della moda nel corso dello scorso anno è stata la pressione produttiva che i creativi devono sopportare in un’industra della moda che richiede costantemente nuove immagini, nuovi abiti e nuovi concept. La pandemia ha portato a un rallentamento di questi processi e molte figure della fashion industry hanno approfittato di questo momento per riflettere su questo tipo di dinamiche produttive.
Allo stesso tempo, però, ci sono stati alcuni dibattiti contraddittori che hanno riguardato Alessandro Michele e la sua capacità di portare avanti la riconoscibilissima estetica da lui concepita per Gucci nei prossimi anni di vita del brand. In breve, da un lato si è molto parlato delle disfunzionalità del lato creativo della moda mentre si scometteva in silenzio sul fading out dell’estetica di Michele. Un fatto che è a dir poco ironico considerando che Michele stesso è stato un pioniere nello sviluppare un modus operandi che è il paradigma stesso della funzionalità creativa: ridurre le collezioni da quattro a due, tenersi alla larga dai riflettori, collaborare con diversi creativi assumendo una funzione di curatore, di veicolo creativo, invece che di semplice stilista.
La maniera in cui Michele lavora e riesce ad adattarsi a mille realtà diverse, dalla partnership sperimentale con The North Face fino a Balenciaga, senza perdere di vista l’integrità di Gucci è proprio il motivo per cui la sua estetica continuerà ad avere successo per anni. Purtroppo non sono in molti, fra i protagonisti della fashion industry, ad aver adottato questi ritmi di lavoro: sono ancora moltissimi i direttori creativi di top brand che continuano a creare dalle quattro alle sei collezioni l’anno. Ma, ad ogni modo, il fatto stesso che l’intera industria avesse messo in discussione i propri ritmi solo l’anno scorso, prova al di là di ogni dubbio che il sistema è antiquato sull'argomento della sostenibilità – tanto sul piano dei prodotti creati (e non sempre venduti) che su quello della pressione messa ai creativi che lavorano al suo interno.