Dopo aver speculato sui social per anni, ora Bottega Veneta li disprezza
Anche se il brand ha basato il suo successo sui mega-influencer, Daniel Lee crede che i social banalizzino il suo lavoro
01 Aprile 2021
Ieri, dopo circa due mesi di totale assenza dai social media, Bottega Veneta ha annunciato la creazione di un magazine digitale che sarà in futuro la sede virtuale di tutti i contenuti visuali del brand. Nello spiegare la propria decisione al The Guardian, Daniel Lee ha però criticato i social media affermando:
«I social media rappresentano l’omogenizzazione della cultura. Tutti seguono il medesimo flusso di contenuti. Il mio lavoro è frutto di molti pensieri e riflessioni e i social media lo banalizzano».
All’inizio dell’anno, infatti, il brand aveva cancellato tutti i suoi social media – incluso un account Instagram da 2,5 milioni di follower. Questa mossa di marketing è stata senza dubbio audace e sorprendente, anche perché non aveva precedenti nella storia recente della moda. Anche se il brand non aveva inizialmente commentato questa scelta, il CEO di Kering, François-Henri Pinault aveva spiegato che il brand avrebbe semplicemente iniziato a utilizzare internet e i social in una maniera diversa. Il frutto di questa nuova strategia è proprio questa zine digitale, composta per lo più da immagini dedicate ai prodotti di Bottega Veneta e video per, come Lee ha detto a WWD, «espandere il nostro universo e conferire ulteriore significato ai prodotti».
Ciò che rende problematica questa affermazione, però, è la contraddizione che crea con la storia stessa di Bottega Veneta. Quando Daniel Lee fece il proprio debutto, poco meno di tre anni fa, l’estetica che aveva proposto non aveva esattamente lasciato tutti a bocca aperta e alcuni critici si erano spinti a paragonarla sia al Cèline di Phoebe Philo che alle ultime collezioni di The Row. La strategia di comunicazione del brand, dunque, divenne sempre più aggressiva sui social media, con una campagna di seeding a tappeto che coinvolse quasi ogni influencer sulla piazza. Come il The Guardian stesso sottolinea infatti: «La modella Rosie Huntington-Whiteley ha postato almeno 39 selfie con la borsa Pouch nell’arco di tre mesi». In breve, il cult following che Bottega Veneta ha guadagnato negli ultimi anni è dovuto interamente ai social media, facendolo entrare a pieno titolo nel novero degli “influencer brand”. Di conseguenza, il fatto che oggi Daniel Lee decida di disprezzare la stessa piattaforma che gli ha dato successo e ha creato la sua reputazione è una contraddizione molto difficile da ignorare. Il designer ha spiegato:
«Sui social c’è un tipo di bullismo che non mi piace. Ho voluto reagire creando qualcosa di allegro. Noi non siamo solo un brand ma un team di persone che lavorano insieme e voglio tenermi lontano da un’atmosfera che è troppo negativa».
Ovviamente questo è un punto di vista che tutti possono condividere: la negatività nei social media è un ostacolo per chiunque. Allo stesso tempo l’assenza del brand dalle piattaforme non impedisce a nessuno di parlarne, tanto in positivo che in negativo. Ad ogni modo, il problema non è che il creative director abbia deciso di rimuovere il brand dai social media, né che abbia creato un magazine digitale – il problema è come decide di parlarne. Se avesse avuto questo atteggiamento sin dal principio tutto avrebbe avuto molto più senso ma farlo dopo aver guadagnato milioni di follower e clienti proprio grazie alla piattaforma è peggio che insincero: è ipocrita.
Se volessimo guardare al quadro più generale della questione, sono molti i brand di moda che traggono profitti dai social media, con il 40% degli utenti che seguono i propri marchi preferiti attraverso varie piattaforme. A prescindere dall’assenza di Bottega Veneta dai social, il brand continuerà a ricavare profitti dall’esistenza dei social media – ad esempio con pagine come @newbottega in cui oltre 500K follower condividono i prodotti e le immagini del brand. Di conseguenza cercare di far passare l’idea che il brand è al di sopra delle dinamiche dei social media e del resto dell’industria della moda, come Lee sembrerebbe insinuare, è prima di tutto lontano dalla verità oltre che impreciso e rende discutibile una mossa che molti considerano ancora oggi geniale e rischiosa.