Uniqlo prima di Uniqlo
Prima delle collabo e del successo mondiale c'erano un errore di battitura e poco hype
02 Aprile 2021
Prima delle collabo con Daniel Arsham e KAWS e prima di diventare l'alternativa "buona" al fast fashion, Uniqlo era un brand nato per sbaglio da un errore durante il processo di registrazione del marchio. Quando nel 1988 l'azienda Ogori Shōji provò a registrare il nome Uni-Clo, un gioco di parole collegato al nome del loro store Unique Clothing Warehouse, si scontrò con un errore di spelling dell'ufficio preposto ad Hong Kong che finì per dare vita al naming che tutti conosciamo. Da quel giorno ci sono voluti diversi anni prima che Uniqlo riuscisse a raggiungere il successo odierno, anni che l'hanno visto uscire progressivamente dalla bolla nazionale fino alla lenta e progressiva espansione nel resto del mondo, passando dai fallimenti nel Regno Unito del 2003 allo sbarco negli Stati Uniti solamente due anni dopo.
Non esistono molte testimonianze di come fosse Uniqlo prima dell'hype, una sorta di damnatio memoriae per farci pensare al brand giapponese unicamente come al colosso fatto di collabo affascinanti e store nelle capitali mondiali. Che si tratti o meno di una coincidenza, una delle poche prove del periodo precedente al successo arriva da un servizio fotografico scattato nel 2003 da Nobuyoshi Araki per il progetto UNIQLO T Project, una serie di ritratti che vedevano coinvolti creativi e artisti giapponesi. Nonostante i quasi vent'anni di distanza, negli scatti di Araki riusciamo vedere già molti degli elementi distintivi del brand: lo sfondo bianco, comune denominatore di quasi tutti gli scatti di Uniqlo, ma soprattutto le celebri graphic tee del brand con alcune di Basquiat e altre illustrazioni. Confrontandole con quelle che siamo abituati a vedere oggi, le foto, successivamente esposte nella Glass Hall del Tokyo International Forum, raccontano comunque un brand nei suoi primi anni di vita, lontano dallo stile serioso e immerso nel mood LifeWear che ormai domina le collezioni e gli scatti di ogni campagna. Nonostante questo, il lavoro di Araki ci parla di un brand per molti versi già avanti rispetto ai suoi competitor e in grado di anticipare trend futuri.
Sarà anche per quello che nel corso di pochi anni Uniqlo è riuscito a raggiungere molti dei suoi competitor, recuperando in poco tempo il vantaggio accumulato dagli altri giganti del fast fashion. Basti pensare che nel 2003, lo stesso anno in cui il brand giapponese batteva in ritirata dal Regno Unito chiudendo 16 store, H&M apriva il suo primo punto vendita in Italia, a Milano, la stessa città che solamente due anni fa ha accolto il primo store italiano di Uniqlo. Uno strano incrocio di coincidenze che riesce però a raccontare l'ascesa di un brand che ha saputo intercettare trend e cambi di mercato, passando dall'essere "l'alternativa giapponese a GAP" a una realtà capace ci giocare un ruolo di rilievo tanto nel mondo fast fashion quanto in quello streetwear, siglando collabo con alcuni dei nomi più rilevanti degli ultimi anni senza mai dimenticare la sua natura di brand basic.
Non un caso fortuito ovviamente, ma il risultato di una strategia il cui obiettivo finale era quello di arrivare lì dove gli altri non erano ancora riusciti: nel 1997 il brand decise di adottare il modello SPA (for specialty-store/retailer of private-label apparel) producendo autonomamente i propri prodotti e vendendoli in esclusiva, iniziando quindi a guardare al mercato occidentale. Prima riprendendo un modello produttivo già messo in atto da GAP e dopo affidandosi al The Brand Architect Group di Los Angeles per creare un nuovo logo. Mentre in Giappone il brand si impose anche grazie alla recessione economica del paese, tale da portare i cittadini a scegliere apparel di qualità a prezzi contenuti, per sbarcare negli Stati Uniti Uniqlo decise di scindersi da Fast Retailing arrivando nel 2005 a New York e riuscendo due anni dopo a rientrare nella lista dei cinque maggiori global retailer insieme ad H&M, Inditex, Limited Brands e proprio GAP. Nonostante il periodo d'oro del fast-fashion, Uniqlo non si è mai fatto trovare impreparato al cambio di direzione degli ultimi anni, riuscendo a mantenere viva la sua fetta di pubblico anche grazie al connubio sempre vivo con il luxury fashion, da Jil Sander a JW Anderson, riuscendo sempre a stare un passo avanti alla concorrenza.