Cosa serve all’industria delle sneaker per diventare sostenibile?
Lo abbiamo chiesto al Global General Manager di Vibram
30 Marzo 2021
Quello delle sneaker è un mondo vastissimo che, negli ultimi anni, si è avviato verso un processo di espansione che non accenna a fermarsi. Una delle realtà più storiche di questo mondo è Vibram, brand nato nel 1937, e da decenni rimasto in una posizione leader nell’industria del footwear grazie alla qualità del suo prodotto ma anche grazie alla sua filosofia aziendale, da sempre attenta alla natura e alla sostenibilità della produzione.
Mentre molti grandi brand della moda parlano di sostenibilità con termini trionfalistici o poco trasparenti, la voce di un brand come Vibram è sempre stata molto chiara sull’argomento – ed è per questo che la redazione di nss magazine ha intervistato Paolo Manuzzi, Global General Manager dell’azienda per rivolgergli qualche domanda sui progressi della sostenibilità nello sneaker game.
La sostenibilità è la parola dell’anno nell’industria della moda ma Vibram è uno dei pochi brand impegnati da anni nella riduzione della propria impronta ideologica. Quali sono le difficoltà nel mantenere la propria posizione di leadership nel campo e come viene fatta fruttare la vostra esperienza?
Oggi tutti parlano di sostenibilità, forse è la storia da raccontare. Tutti devono averne una e la parola “sostenibilità” suona bene perché ha uno spettro ampio e quindi viene vissuta da tutti anche in modo diverso. Vibram alla sostenibilità crede da sempre. La nostra è un’azienda outdoor, legata a natura e alla montagna. È nel nostro DNA da sempre, la nostra filosofia aziendale si fonda sul non danneggiare la natura, sulla community di chi ama la montagna e l’aria aperta: se la distruggiamo, distruggiamo prima il nostro futuro e poi il nostro business. Vibram aveva iniziato già negli anni ‘90 con il riciclaggio e processi a km 0, con aziende vicine alle fabbriche per ridurre consumi e trasporti.
Com’era parlare di sostenibilità prima che fosse mainstream?
Era come parlarne a vuoto, era l’ultimo argomento della lista. Anche perché ciò che è difficile da far capire è che essere sostenibili implica anche aumento dei costi perché bisogna implementare processi nuovi, tecnologie nuove e attenzioni diversi. A quei tempi di fronte ai costi si preferiva lasciar stare. Negli anni ‘90 poi ci fu la corsa al mercato asiatico con le sue fabbriche e l’obiettivo era ridurre i costi e anche il consumatore finale non era pronto.
Come sta incidendo la sostenibilità sui trend del settore delle sneaker?
Secondo me ancora non sta facendo cambiare nulla: si vedono piccoli cambiamenti ma da parte di poche aziende. Siamo indietro e abbiamo ancora molti passi da fare. Non saprei se è l’industria delle sneaker è più o meno sostenibile rispetto al resto dell’industria del footwear, ma anche questo mondo si sta adattando. Oggi la moda è fatta anche dalle sneaker e dunque anche le sneaker si devono adeguare al mercato e provare a essere più sostenibili.
Ci sono tanti tipi di sostenibilità: dalla CSR del mondo corporate fino a chi parla di impronta ecologica positiva, chi parla di materiali sostenibili ma non di processi. Come si potrebbe creare lo standard universale di un processo green per le aziende?
Oggi la parola “sostenibiltà” dice tutto e niente, anche al consumatore finale che spesso non lo sa. È anche difficile passare messaggi allineati per tutte le aziende. La cosa migliore è avere certificazioni fatte da enti esterni con parametri standard, al momento è troppo ad ampio spettro per avere uno standard di sostenibilità. Ci sono società che stanno nascendo e certificano non tanto il prodotto quanto il processo e l’industria – un prodotto può essere sostenibile ma non un’intera produzione, oppure può essere prodotto con materiali sostenibili ma senza un processo sostenibile. Dovrebbe essere una filosofia aziendale di tutti, una presa di coscienza che va dall’ultimo degli operai fino al capo dell’azienda – ognuno di noi nel suo piccolo deve far sì che un prodotto o un processo sia più sostenibile di altri.
Vibram ha una posizione particolare nel mercato perché dialoga sia con consumatori diretti che con le aziende. Avete un punto di vista privilegiato nell’osservare il comportamento degli altri brand.
Vibram ha un punto di vista privilegiato perché abbiamo relazioni con grandi marchi ma non valutiamo noi se sono più o meno sostenibili, anche se ci sono marchi più ricettivi rispetto a certi prodotti. Ci sono ancora tanti passi da fare perché è concetto ampio non digerito da tutti.
Da questo punto di vista, sono stati interessanti gli ultimi prodotti che ha fatto Vibram, come la serie Component o l’iniziativa Repair If You Care in cui si cambia la dinamica classica del dialogo sulla sostenibilità tra brand e consumatore. Questa potrebbe essere una maniera per affrontare la questione in modo meno superficiale?
Noi in questi progetti crediamo. Raggiungendo il consumatore finale e portandolo a richiedere certi prodotti il mercato si adegua. Se i consumatori chiedono un prodotto sostenibile, il mercato andrà nella direzione corretta. L’obiettivo di Component e Repair If You Care è coinvolgere il consumatore finale per farlo diventare un supporter. Se il mercato offre solo un certo tipo di prodotti, introdurne di nuovi diventa difficile – quando c’è opportunità e richiesta poi il mercato si adegua più facilmente o più velocemente.
Negli ultimi mesi, l’estetica dell’hiking e dell’outdoor è uscita dal proprio settore ed è entrata nel mainstream della moda. Pensi che questo trend potrebbe passare a breve oppure è un processo culturale un po’ più grande perché a che fare con il lockdown?
Secondo me la pandemia, la nuova ricerca della natura e lo smartworking hanno aiutato questo passaggio: tutti cercano un abbigliamento più informale e comodo e hanno scoperto che certi brand e prodotti sono sia più comodi che versatili. In quest’ottica, i consumatori vogliano semplificarsi la vita e usare prodotti adatti per ogni occasione. Le scarpe rappresentano il punto più importante di questo passaggio: oggi una sneaker è accettata in ogni situazione sociale, dal lavoro alla formalità. La scarpa da outdoor poi è anche più più performante perché si adatta a ogni situazione atmosferica. Questa tendenza sarà sempre più forte, come la tendenza di 10 anni fa con i jeans. Il prodotto da outdoor sta diventando per tutti i giorni – anche in linea con la sostenibilità, cioè avere meno prodotti e più versatili.