Perchè nella campagne post-pandemia tutti limonano così duro?
In una società sempre più distanziata, la moda si fa voyeuristica
26 Febbraio 2021
La scorsa settimana, Jacquemus ha condiviso gli scatti della campagna SS21, intitolata L’Amour, che aveva per protagonisti una serie di giovani coppie di varie etnie e orientamenti intente a baciarsi, scambiarsi abbracci ed effusioni. Un format, quello delle “coppie che si baciano” nato da circostanze tanto culturali che pratiche: culturali perché il 2021 è l’anno della riconessione, in cui si cerca di ritrovare i propri contatti umani dopo lo sconquasso dell’anno passato; pratiche perché il format delle “coppie che si baciano” è una cornice ideale per risolvere in un colpo solo tutti i possibili problemi di una campagna di moda. C'è l’inclusivity/diversity, c’è il sesso, c’è il romanticismo intenso (o facile sentimentalismo, a seconda delle scuole di pensiero), c’è la sincerità schietta del documentario - ma anche il fascino voyeuristico dell'osservare un contatto fisico senza filtri, qualcosa che la pandemia ha reso proibito e dunque quasi eccitante.
Ma Jacquemus non è stato l’unico a usare un format simile: il primo è stato Zalando, con una campagna per la stagione Holiday 2020 di nome We Will Hug Again piena di coppie che si baciavano felici in una “celebrazione della connessione umana”; poi è toccato a Courregès che ha usato il medesimo format per la sua campagna SS21 e ancora a Diesel che a metà febbraio ha condiviso la prima campagna nata sotto la direzione di Glenn Martens di nome When Together in cui un altro gruppo di coppie era ritratto nel mezzo della passione. Ma forse questa curiosa ripetizione dello stesso tema nasconde una certa stanchezza creativa.
Il problema non risiede tanto nella qualità delle effettive campagne, che da un punto di vista creativo sono differenziate fra loro ed espressive dell’estetica del rispettivo brand, ma è difficile che, guardandole, il pensiero non rivada ad altri progetti, alcuni vecchi di anni, che ne condividevano il format e lo spirito: i più recenti sono la campagna FW19 di Balenciaga, con varie coppie reali ritratte in giro per Parigi; il video di Calvin Klein del maggio di due anni fa in cui Bella Hadid baciava l’avatar-influencer Lil Miquela; il video che Michele Foti girò insieme a Sunnei sempre nello stesso mese e anno. I ricordi più antichi risalgono invece alla leggendaria Unhate Campaign di Benetton di Olivero Toscani (forse uno degli archetipi del format) e ad altri progetti come la campagna Kiss for a Cause di H&M nel 2012. Ma il format è in realtà così trito che persino la divisione ungherese di Coca Cola lo ha usato per la campagna Love is Love in Ungheria, sempre nel 2019. Per non parlare dell’infinità di video virali di cui il più celebre è First Kiss di Tatia Pilieva che è uscito nel 2014 e possiede oggi 147 milioni di views, seguito e preceduto da altri innumerevoli “esperimenti sociali”, video promozionali, progetti studenteschi e via dicendo.
Un elemento che salta all’occhio, comunque, è che in tutte e tre le campagne di moda (escludiamo Zalando che non pubblicizza una collezione vera e propria) il protagonismo di questa connessione umana che si vuole recuperare offusca gli stessi abiti: tanto per Diesel che per Jacquemus, i veri protagonisti sembrano più i corpi che i vestiti, che infatti in alcuni scatti quasi non si distiguono; diverse sono le cose per Courregès che però segue lo stesso format. Il motivo di questa sincronia fra le campagne è di certo la duplice presenza di empatia e voyeurismo, oltre che la facile replicabilità del format ma proprio questo è ciò che lascia un po’ perplessi di fronte agli scatti, cioè la loro eccessiva “facilità”. Semplicemente il format è stato visto e rifatto così tante volte che vedere tre brand indipendenti e un retailer produrre campagne identiche nell’arco dello stesso trimestre ha un effetto quasi controproducente: davanti all’ennesima coppia seminuda e aggrovigliata che ci si ritrova davanti il pubblico è già desensibilizzato.
È forse interessante notare, piuttosto, quanto valore venga attribuito dai marketers e dagli art director alla connessione umana in un momento incerto come quello che stiamo attraversando oggi - tanto da dimenticare, come si diceva, anche gli abiti. Come già successo con le campagne di moda DIY in quarantena e con i lookbook che usavano gli stessi designer come modelli, l’industria della moda e il suo marketing sembrano a volte ragionare con una sincronicità che ha del paranormale – o che forse è una standardizzazione creativa causata dalla sovrapproduzione di contenuti promozionali e dal fantasma di un lockdown che strema ed esaspera. Non le grandi menti, ma le menti stanche pensano allo stesso modo.