Dalla NASA all’àpres-ski: storia dei Moon Boot
Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per il footwear design
27 Febbraio 2021
Lo scorso 25 gennaio, il Tribunale di Milano ha emesso una sentenza che imponeva a Chiara Ferragni di ritirare uno stivale prodotto dal suo brand, identico, glitter a parte, ai celebri Moon Boot prodotti dal gruppo Tecnica. Nel farlo, ha riaffermato l’originalità di uno dei capolavori del product design italiano della seconda metà del ‘900, il Moon Boot che, partito da una fabbrica in provincia di Treviso, è arrivato nel tempo a essere esposto al Louvre tra i 100 simboli del design del XX secolo e fa oggi parte dell’esposizione permanente del Museum of Modern Art di New York.
Il design del Moon Boot, infatti, nato originariamente nel 1969 per mano di Giancarlo Zanatta, che fondò nel 1960 il Gruppo Tecnica a partire dal calzaturificio del padre Oreste, rappresenta alla perfezione quello scisma storico con il quale il mondo dell’estetica sportiva si è separato dal suo contesto di origine per entrare nel campo dell’abbigliamento puro, ossia del lifestyle ed è stato imitato molte volte, non solo dal brand di Chiara Ferragni, ma anche da brand come Dior che ha inserito uno snow boot molto simile ad esso nella collezione FW21.
La storia di Moon Boot dice molto su come andrebbe prodotto un design longevo e di successo. Non è un caso che il brand apparve sulla scena a poca distanza dall’allunaggio, anzi, la precisa volontà di Giancarlo Zanatta di replicare gli stivali usati da Buzz Aldrin per muovere il primo passo sulla Luna, visti su un cartellone pubblicitario in occasione di un viaggio a New York, catturò in maniera così perfetta lo zeitgeist dell’epoca da produrre un design che non è sostanzialmente invecchiato in oltre mezzo secolo. Oltre allo zeitgeist culturale, Zanatta seppe anche intercettare le esigenze di una fascia specifica di pubblico, ossia gli amanti delle montagne, creando un footwear alternativo ai soliti stivali di pelle marrone o nera utilizzati fino ad allora e che per altro non erano nemmeno del tutto impermeabili.
Uno dei maggiori testimoni dell'impatto culturale che Moon Boot ebbe in quegli anni sono gli scatti di Slim Aarons, celebre cronista della vita del jet-set europeo e americano, che dedicò molte serie di foto al jet-set di location sciistiche come Cortina e Gstaad in cui gli stivali appaiono ai piedi delle principesse dell'ultima aristocrazia europea o ai piedi degli ospiti di casa Furstenberg. Il Moon Boot cambiò le regole: era composto di nylon (lo stesso tessuto che a metà degli anni ’80 Miuccia Prada avrebbe elevato a materiale di lusso), era leggero, impossibile da bagnare, ambidestro e prodotto in una serie di colorway sgargianti che diedero una scossa all’aristocratico e frigido guardaroba après-ski anni ’70. L’uso di materiali sintetici era già stato sdoganato in USA da Bob Lange, ma Zanatta lo adottò meglio utilizzando la tecnologia della doppia iniezione per creare strati di materiale con durezze diverse dando vita allo scarpone Tecnus – un’operazione imparata visitando gli stabilimenti Fiat dove stampi di plastica a iniezione erano usati per i cruscotti delle auto.
Il successo fu grande: alla prima fiera in cui vennero esposti vendettero un migliaio di esemplari in un giorno solo. Nel corso degli anni ’70 e soprattutto ’80 gli stivali divennero una delle scarpe preferite non solo dei Paninari di San Babila ma anche di Paul McCartney e di sua moglie. Nel 1986 si giunse alla quota record (per allora) di un milione di paia venduti in tutto il mondo mentre già nel 1993, con l’acquisizione di Lowa, il gruppo Tecnica era diventato il leader nel settore dell’outdoor footwear e nella collezione FW94 di Chanel, Karl Lagerfeld ne creò un’imitazione che poi finì al Metropolitan di New York. Gli anni ’90 rappresentano anche un momento centrale nella vita del brand, che col passare degli anni era diventato un’icona di quel retrofuturismo amato nella club scene e divennero un prodotto così iconico fra le giovani generazioni che nel 2004 Jared Hess li mise addosso al protagonista di Napoleon Dynamite, uno dei più grandi cult della commedia indie americana oltre che una vera e propria compilazione di trend e stili di quegli anni che avrebbero trovato più ampio sviluppo in futuro.
Nel frattempo sulle passerelle di mezzo mondo iniziarono ad apparire varie versioni del Moon Boot, collaborative e non. Il brand ha collaborato con Fendi, Jimmy Choo, MSGM, Jeremy Scott e Moncler ma Chloè, Dior, Gucci, Prada, Dolce & Gabbana e Louis Vuitton produssero versioni proprie dei cosiddetti snow boot o winter boot riconoscibili sempre per la silhouette, la forma della suola e per gli allacci da trekking. Il prolificare di queste imitazioni e collaborazioni ha dato ai Moon Boot lo status di stivali da sci per antonomasia, il cui design ha superato l’appartenenza a un brand solo ed è diventato una tipologia di footwear a sé stante un po’ come è successo alle Dunk di Nike, la cui silhouette generale è stata ripresa liberamente dalle Geobasket di Rick Owens, dalle BAPE Sta di A BATHING APE e anche dalle Court Hi di Saint Laurent per citare i casi più celebri.
Il brand sembra però essere pronto a riaffermare l’originalità e l’heritage del Moon Boot riportando anche dati positivi come un aumento di vendite online del 70% in Nord America, territorio sul quale il prodotto non ha retailer fisici. Al momento è in atto una vasta strategia che vedrà il brand approdare sui mercati asiatici e negli USA, trainato dall’offerta della collezione FW21 che poi si espanderà anche nella produzione di accessori. Ma la cosa più importante è che il riposizionamento sul mercato si svolgerà tramite un programma di collaborazioni abbastanza fitto e un rilancio del suo e-commerce, come ha fatto intendere il general manager del brand, Mirko Massignan:
«Se prima erano le griffe a contattarci, da questa stagione abbiamo deciso noi con quali partner ci sarebbe piaciuto lavorare, scegliendoli anche in base alla loro presenza nei mercati in cui vogliamo espanderci. Abbiamo in cantiere diverse collaborazioni: una incentrata sulla donna, una sulla sostenibilità, una unisex dedicata ai nostri modelli iconici, una molto pop con cui intendiamo raggiungere la clientela asiatica. […] Adotteremo anche un tipo di comunicazione più immediata e ispirata al concetto di see now buy now, focalizzandoci ogni mese su di un particolare prodotto».