Quanto funziona il dialogo fra Miuccia Prada e Raf Simons?
I limiti del dinamico duo della moda nella collezione FW21 di Prada
18 Gennaio 2021
Si è svolta ieri la prima sfilata maschile di Prada co-firmata da Miuccia e Raf Simons – uno show digitale animato, più che da uno storytelling vero e proprio, dalla ricerca di una nuova dimensione (sia fisica che materica e sociale) per ristabilire una sorta di armonia o equilibrio fra individuo e mondo. Una ricerca che, per quanto intimistica voglia sembrare, nasconde un’energia sotterranea e pulsante: se infatti la successione di stanze decorate di materiali e colori diversi ricorda sia i mondi a scatola chiusa pensati da Simons nei set della sua prima collezione per Dior, in cui le pareti erano interamente ricoperti da fiori divisi in base al colore; la musica di Richie Hawtin che accompagna i 54 modelli e i passi di danza degli stessi parlano di un desiderio di dinamicità e movimento, sopito sotto gli elaborati layering di lana, che è stato molto diffuso in tutte le sfilate di questa Milan Fashion Week con le loro colonne sonore da boiler room. Visti i risultati, però, rimane ancora una volta in dubbio il tipo di equilibrio creativo raggiunto dai due: in altre parole, a circa un anno dall'annuncio ufficiale dell'ingresso di Raf Simons in Prada, ci si sarebbe atteso qualcosa che definisse una nuova estetica nata dalla fusione delle idee di entrambi i designer - una reazione chimica che non sembra essersi verificata finora con una collezione che, pur validissima, parla le due lingue dei suoi creatori ma non le sintetizza in un singolo codice nuovo.
Il capo-simbolo della collezione è il long john, sorta di calzamaglia overall che è stata remixata in questa stagione sia come protagonista a sé stante che come elemento di layering innovativo. Un capo un po’ awkward, che rientra a pieno titolo in quella categoria di ugly chic che Miuccia Prada ha portato negli anni ad altezze surreali, ma che vuole essere piuttosto simbolico tanto di una intimità con il corpo, nel suo essere una specie di membrana che lo copre e protegge del tutto; sia un richiamo al suo dinamismo e a una sorta di illusoria nudità. La qualità tattile degli abiti, la loro capacità di avvolgere e definire un corpo, di essere membrana letterale e simbolica fra il corpo e il mondo sono le caratteristiche più definitive degli item di questa collezione. In generale, comunque, la sensazione che rimane a fine show è che sia stato Raf Simons ad avere più voce in capitolo nel processo creativo: i colori e i materiali della Prada-ness di Miuccia sono stati il linguaggio in cui Simons ha tradotto stilemi propri. Si sente ancora troppa soluzione di continuità fra i linguaggi dei due designer: si vede quando Raf fa Raf e quando Miuccia, Miuccia.
Questo allineamento ancora imperfetto (ma è ancora prestissimo per esprimersi, i due hanno linguaggi creativi troppo specifici per conciliarli dopo qualche mese di lavoro) è al momento il principale limite della collezione stessa: ossia un eccessivo affidamento ai design d’archivio di Simons. È normale che alcuni stilemi facciano da fil rouge fra varie collezioni firmate dal medesimo creativo, ma alcuni dettagli parevano prelevati di peso dalle greatest hits del creativo belga: le maniche delle giacche arrotolate sopra il gomito con il pattern di una manica secondaria che appare lungo il braccio si erano già visti nella SS21 di Raf Simons ma erano già presenti nel “vocabolario” del designer dalla FW07; i cappotti oversize neri e lucidi con bottoni a moneta ricordano un incrocio fra i giubbotti delle sue collezioni FW20 e SS18; i bomber militari oversize diventati sua firma dalla leggendaria collezione FW01; i pattern a maglia nella fodera dei cappotti, visti tanto che nelle sue collezioni per Calvin Klein che nella collezione FW16 e via dicendo. Ovviamente la qualità dei singoli design è eccelsa, tanto i guanti con portamonete che i bomber oversize in pelle saranno vendutissimi – la sensazione che resta, però, è quella di una certa prevedibilità e ripetitività.
Sul panorama di un’industria della moda sempre più “veloce” nei suoi cambiamenti, tormentata da difficoltà di linguaggi generazionali sempre nuovi, una maison come Prada è stata pienamente capace adottare il nuovo format del digitale con un’enorme disinvoltura (e anche grazie alla community di creativi di prim’ordine stretti intorno a Miuccia, primo dei quali è Rem Koolhaas e lo studio OMA) ma, allo stesso tempo, sia Raf Simons sembra aver perso il polso delle sue amate sub-culture incartandosi in una stanca "retorica della giovinezza" che ha dato i suoi frutti e che converrebbe lasciarsi ormai indietro; sia Miuccia Prada appare distante da quel mondo sentimentale e altolocato, delicatamente eccentrico ma sempre raffinato a cui ci avevano abituato le ultime collezioni da solista.