Che cos’è l’estetica e-boy?
Analisi della prima subcultura giovanile dei nuovi anni '20
03 Dicembre 2020
TikTok è il fenomeno cultruale della Gen Z. Le più recenti statistiche parlano di circa 500 milioni di utenti attivi nell’ultimo anno, gran parte dei quali sono membri della Gen Z. In brevissimo tempo TikTok è diventato il territorio delle nuove generazioni, sviluppando intorno a sé un’intera cultura fatta di challenge virali, canzoni dalla fama esplosiva e famigerati balletti. Non solo: come Instagram fu, ai suoi tempi, il breeding ground dell’estetica hipster, del normcore e dello streetwear in tutte le sue diramazioni, Tik Tok ha dato vita all’estetica e-boy, che non è troppo ardito definire come la prima, vera subcultura giovanile dei nuovi anni ’20. Come tutte le subculture prima di lei, quella degli e-boys possiede dei tratti estetici ben definiti che sono in parte frutto di inconfondibili influenze asiatiche, che vengono dagli anime passando per il K-Pop; in parte frutto di una nostalgia verso gli anni ’90, del punk, del goth e del grunge e in parte frutto dei propri tempi, con la sua tensione androgina e la costante ironia dei suoi contenuti.
@noeneubanks happy weekend everyone
wespn instrumental - blaisezabinis
La divisa degli e-boy è un ibrido cross-culturale fra skate culture, hip-hop, anime e goth. I capelli sono invariabilmente spettinati e folti, spesso tinti con colori squillanti e ancora più spesso bipartiti con una riga nel mezzo in un floppy haircut che Nick Carter dei Backstreet Boys rese celebre. Non mancano nemmeno, in certi casi, eyeliner di ascendenza goth e unghie dipinte di nero alla meno peggio, courtesy of Kurt Cobain. Di capitale importanza sono gli accessori: onnipresente la collana con lucchetto, staple dell’estetica DIY, che è già arrivata nella moda con Slimane e Matthew Willams; seguono una serie di collane, spille da balia e catene argentate sempre presenti in gran numero al collo, occasionali ma assai comuni choker di perle, anelli sia alle dita che al naso e alle orecchie e pendenti singoli con croci o altre figure che mantengono sempre l’aspetto cromato/argentato e infine le cinture, sempre nere e in evidenza anche se di forma variabile, a cui sono appese numerose catene.
Gli abiti invece variano molto ma hanno in comune l’elemento del layering: uno dei tratti più comuni è il sovrapporre una t-shirt oversize con grafiche dal sapore esoterico o metal a una maglia long-sleeve, specialmente se a righe bianche e nere; spesso l’abbinamento è costituito da una felpa crewneck da cui fuoriesce il colletto bianco di una camicia, in altri casi non mancano semplici hoodie o camice di flanella d’ispirazione grunge, ma sempre corredate da t-shirt grafiche e accessori, gioielli e make-up. I pantaloni sono forse l’aspetto più variabile: tendenzialmente scuri, a volte tagliati sopra la caviglia, a volte baggy o con pinces, nei casi più basic ancora fedeli allo strappo sul ginocchio, in molti altri casi ricalcano il lato più grafico dello streetwear. Le calze d’invariabile spugna bianca e, infine, le scarpe. Se lo streetwear aveva elevato le sneaker a oggetto di culto, gli e-boys non vanno tanto per il sottile: Doc Martens e Vans Old Skool sono the way to go, l’alternativa sono delle derby di pelle o degli stivali – tutto di colore nero.
@lilhuddy THE DANCING KID @celine ##THEDANCINGKID ##CELINEHOMME ##CELINEXLILHUDDY
TIAGZ THEY CALL ME TIAGO EXTENDED CELINE EDIT - CELINE
Il tratto più interessante di quest’estetica, al netto di tutto, rimane il suo eclettismo, la capacità di essere multiculturale e cross-settoriale a un tempo. Nel passato, appartenere a una subcultura significava votarsi a uno stile ben preciso e determinato (pensiamo agli emo, ai goth o ai punk) mentre per la cultura degli e-boy non ci sono compartimenti stagni: essere cresciuti all’epoca dei moodboard e dei social media appiattisce le distanze temporali e culturali e rende i tratti di tutte le subculture degli elementi da riprendere e variare soggettivamente, favorendo un’ibridazione di stili che un tempo erano diametralmente opposti. Nonostante le varie ispirazioni dal mondo del punk e da quello del K-Pop, infatti, la musica che anima i video degli e-boys è invariabilmente hip-hop, come ispirate al gergo hip-hop sono le loro brevi manifestazioni verbali (meriterebbe un articolo a parte la questione della diversity all’interno di questa cultura, che appare essere prevalentemente bianca) ma gli abiti e l’estetica degli e-boy stessi non sono il riflesso della musica che ascoltano, le stesse hit virali vintage, come recentemente Dreams dei Fleetwood Mac, esistono più come sound scorporati che come prodotti culturali ancorati a un’epoca e a una cultura.
Altro nodo centrale è il rapporto di questa subcultura con la moda. Anche se tra lo scorso anno e il 2020 alcuni creator si sono infiltrati lentamente sulle pagine delle riviste seguendo la stella cometa di Noen Eubanks e della sua campagna per Celine. Nel resto dei casi, dunque escludendo i creator più celebri e capaci di monetizzare la propria fama, il rapporto degli e-boys con la moda rimane poco chiaro. Questa lontananza è può essere motivata da tre motivi generali: il primo è che la loro è un’estetica DYI, lontana per lo più dal discorso del lusso quanto lo era, negli anni ’90, il mondo dello skate; la seconda è una ragione demografica, che riguarda cioè una fascia di età che non possiede né la passione, né la cultura né il potere di acquisto necessari per la frequentazione del mondo del lusso; la terza ragione riguarda il medium stesso, ossia i video di TikTok, in cui il ruolo centrale è svolto più spesso dalla bellezza fisica dei protagonisti che dagli outfit in sé, e che spesso sono infatti costituiti da una canotta e da joggers.
È forse piuttosto la moda a voler avere un rapporto con gli e-boys, considerato come Hedi Slimane si sia iscritto a TikTok proprio in occasione della campagna con Eubanks e abbia finito per strutturare l’intera collezione SS21 di Celine intorno al concetto di The Dancing Kid – cioè l’e-boy impegnato a ballare nella sua camera durante il lockdown. Ed effettivamente, come si diceva, alcuni e-boys sono diventati simili a degli influencer: Chase Hudson, che è una social media star a metà fra e-boy, stylist e influencer, è finito su Vogue in un total look Celine; Noen Eubanks, dopo lo shooting con Slimane, è stato immortalato da Steven Meisel per la cover di The Face; la TikTok star Heir of Atticus, nome d’arte di Gauge Burek, ha scattato un intero servizio, sempre in full Celine, per VMAN. L’equilibrio fra il “vecchio” mondo della moda e i nuovi influencer di TikTok però non è stato ancora raggiunto – la stessa natura di subcultura presuppone infatti una lontananza, almeno parziale dal mainstream. Questo è anche il motivo per cui la collezione SS21 di Celine è risultata tanto controversa: se l’outfit dell’e-boy ha ragion d’essere nei video di TikTok, il suo fascino rimane per ora un po' lost in translation nel passaggio alla moda. Questo non significa che i designer smetteranno di provarci - i grandi brand di moda provano da anni a decifrare la formula del successo su TikTok e la porta sembra stare per aprirsi.