Come si stanno preparando i brand di moda ad un secondo lockdown?
Con il potenziamento dell'e-commerce e con centri logistici efficienti
21 Ottobre 2020
nss magazine
Con il continuo propagarsi dell'epidemia e la conseguente introduzione di nuove misure restrittive in molti Paesi del mondo, anche l'industria della moda torna a fare i conti con una situazione d'emergenza che sembrava essere almeno in parte superata. Se in Italia vengono varati coprifuochi e vengono chiusi i centri commerciali nel weekend, misure stringenti costringono anche la Francia, il Regno Unito e in parte gli Stati Uniti a limitare spostamenti e contatti, mentre in Cina la pandemia sembra ormai un ricordo passato, in una ritrovata crescita che porterà la superpotenza a dominare (ulteriormente) il mercato del lusso. Ciò che attende i brand di moda ora è una necessaria riflessione sulle azioni da intraprendere per non soccombere.
La fine dello store fisico
Sia in caso di lockdown completo che di limitazioni meno pesanti, lo store fisico non è più il luogo deputato allo shopping, una consapevolezza che è apparsa chiara fin da subito, già a marzo. I primi cambiamenti introdotti per far fronte all'emergenza, che apparivano temporanei e tempestivi, sono diventati presto delle modifiche durature e strutturali. Ne è un esempio perfetto lo spostamento organico verso l'e-commerce, un'evoluzione da cui probabilmente non si tornerà più indietro, in una concatenazione di causa-effetto che ha decretato la fine dei grandi magazzini. La crisi che aveva già investito istituzioni americane come Neiman Marcus - che ha già dichiarato bancarotta - Nordstrom e prima ancora Barney's, non sarà che acuita e accellerata in modo probabilmente irreversibile dai cambiamenti e dalle nuove abitudini di shopping che la pandemia ha generato. Non soprende quindi la decisione di Gucci di non vendere più all'interno di multimarca, con l'obiettivo di potenziare canali di vendita diretti e restituire un senso di esclusività. In questo senso fa eccezione il caso di Rinascente, che è riuscita ad affrontare il lockdown senza un sito di e-commerce, puntando invece su un servizio On Demand, che predilige il rapporto diretto tra assistente alla vendita e consumatore. L'annuncio di H&M della chiusura di 250 store nei prossimi mesi dimostra come, anche a causa di una situazione di difficoltà pre-esistente, il negozio fisico è diventato un fardello, spesso un peso da cui liberarsi - con buona pace dei lavoratori - una mancanza ampiamente colmabile con uno store online efficiente.
Sono molti i piccoli e medi brand che hanno capito durante l'emergenza sanitaria, quando i loro prodotti si trovavano bloccati dentro grandi magazzini chiusi e impolverati, che quello non è più un modello di retail vincente, ma era ormai troppo tardi per rinegoziare accordi e contratti. Ma non solo: il ritmo a cui era solito viaggiare il mondo della moda, sempre guardando alla stagione successiva, costringeva i department stores e i multimarca ad effettuare i proprio ordini con largo anticipo, una prassi che ha inevitabilmente penalizzato loro e i brand interessati durante il lockdown, causando un cortocircuito di collezioni e vendite.
Potenziare l'e-commerce
Non basta una store online per dire di avercela fatta. Oggi già che mai i brand devono investire nei propri e-commerce, potenziandoli, ampliandoli, rinnovando i propri siti web in modo che siano a misura di consumatore, facili e intuitivi. In questo contesto non può essere sottovalutata una comunicazione che non è legata necessariamente alla componente shopping, ma che va oltre, che vive attraverso progetti, campagne e iniziative social, una scienza perfezionata da Jacquemus proprio durante i mesi di lockdown, o mirate newsletter, a formare una narrazione che sia coerente e che faccia la differenza nella costruzione nell'identità del brand. La presenza digitale, infatti, è fondamentale per mantenere i propri consumatori engaged, coinvolti, collegati, in un tentativo più ampio di instaurare un reciproco rapporto di fiducia tra brand e consumatore.
Avere uno store online efficiente non risolve tutti i problemi di un brand. Una delle questioni più spinose che attanaglia l'industria della moda, sia nel settore del fast fashion che nel luxury, come dimostrano gli scandali di H&M e di Burberry, è quello dell’inventario, l’enorme volume di merce invenduta difficilissima da smaltire ma non più vendibile. Posto che la soluzione più corretta e sostenibile sarebbe la semplice diminuzione della produzione, la merce in eccesso porta i brand a dover operare promozioni e sconti, che necessariamente intaccano le vendite e i guadagni di un brand, oltre ad avere effetti negativi sulla sua reputazione. Come scrive anche BoF, ci vorranno anni prima che l’industria sia in grado di smaltire tutta la merce prodotta in eccesso e non venduta durante il primo lockdown - e probabilmente anche durante il secondo.
Un e-commerce può dirsi efficace solo quando anche un altro settore, quello logistico, funziona. È infatti fondamentale che i centri di distribuzione si trovino in punti strategici, in modo da abbattere i costi di spedizione. In secondo luogo non è da sottovalutare la divisione che viene fatta della merce e il luogo in cui viene conservata prima di essere spedita. Nel caso in cui ci fosse troppa poca merce negli store questo potrebbe significare meno vendite e costi di spedizione più alti. Nel caso in cui ci fosse invece troppa merce in altre location questo potrebbe rappresentare un problema dal punto di vista dello smistamento e dell’eventuale spedizione verso location diverse. Proprio per sopperire a tutti questi problemi, un partner leader del settore come Amazon potrebbe rappresentare una risorsa strategica, motivo per cui il tentativo del gigante di Jeff Bezos nel mondo della moda potrebbe funzionare proprio in virtù del supporto logistico che Amazon è in grado di offrire ai brand.
Sarà abbastanza?
Con una filiera produttiva completamente spezzata dall'emergenza sanitaria, ulteriormente aggravata da nuove misure per contenere il virus, non è chiaro se e come i brand di moda riusciranno ad uscire vivi da un potenziale secondo lockdown. Dopo la rivincita degli sweatpants e il dibattito sul leisurewear, non è ancora chiaro come ci vestiremo dopo coprifuochi e limitazioni, e potrebbe giocarsi proprio su questo punto, la possibile scoperta di un nuovo trend o l'introduzione di una nuova estetica mainstream, la sopravvivenza di tanti brand di moda.