Perchè Armani porterà la sua sfilata in diretta su La7?
Il designer vuole diventare il nuovo paladino dell’italianità nazional-popolare nella moda
07 Settembre 2020
«Si parla di democratizzazione, e cosa c’è di più democratico della televisione?»
Dice così Giorgio Armani, intervistato da Il Corriere della Sera, a proposito della scelta di trasformare il suo prossimo show co-ed a porte chiuse in una diretta televisiva di 40 minuti che si svolgerà in prima serata su La7 e sarà presentata da Lilli Gruber. Durante l’intera durata della pandemia Giorgio Armani è riuscito, grazie alla sua ormai celebre lettera aperta, a re-brandizzarsi come volto nazional-popolare della moda per il pubblico italiano, un viso familiare e vagamente nostalgico. E la decisione di trasformare per la prima volta la propria sfilata in programma tv completa la sua trasformazione in una figura-ponte fra il mondo della moda e la realtà quotidiana di milioni di italiani da cui proprio quel mondo è sempre più remoto e rimosso.
Armani è senza dubbio intelligente nel volersi rilanciare, in virtù della sua onorata e lunghissima carriera, come paladino popolare della moda, una figura rassicurante che celebra un mondo tradizionale fatto di completi blu, responsabilità sociali ed etica del lavoro in contrapposizione alla moda politicizzata, genderless e provocatoria di brand come Gucci o Rick Owens - che affronta insomma tematiche non ancora pienamente accettate dal mainstream popolare italiano. Ma la verità è che nel 2020 la moda è qualcosa di più edgy e sperimentale di così e un evento televisivo in diretta di sabato sera su La7 non accrescerà la passione e la conoscenza del pubblico di questa cultura ma venderà un’idea di moda che, sotto le insegne di un classicismo ideale, sarà solo uno sguardo verso il passato, tanto rassicurante quanto inerte, non troppo diverso dalla premiere di un Festival di Sanremo in cui gli abiti prendono il posto delle canzoni.
Come lo stesso Armani ha ricordato, poi, questa nuova iniziativa riprende programmi anni ’80 come Non solo moda e Donna sotto le stelle – responsabili di aver divulgato a un pubblico di massa eventi e notizie che, per tradizione, si svolgono all’interno di circoli relativamente ristretti:
«La moda in TV ha avuto il suo momento di alta spettacolarizzazione negli anni Ottanta, quando noi stilisti vi comparivamo spesso, dispensando consigli di ogni genere, ma non è mai stata utilizzata per raccontare una collezione nuova, che nemmeno gli addetti ai lavori hanno ancora visto».
Ed effettivamente, l’idea di rivolgersi a una audience ben più ampia di quella che si potrebbe attirare tramite un evento digitale online non sembra cattiva sulla carta. Rimane comunque un problema: il format della sfilata televisiva funzionava forse negli anni ’80 (e comunque sempre con la couture, che si presta meglio alla storytelling e allestimenti più elaborati) ma nel periodo intercorso fra gli show di Valentino sulle scale di Trinità de’ Monti e oggi, molte cose sono cambiate tanto nella moda che nei media – che si sono radicalmente digitalizzati.
Armani sostiene che «anche ai nostri giorni, il fascino della tv è innegabile», forse ignorando quanto geriatrico e obsoleto sia diventato il medium televisivo negli ultimi anni – specialmente paragonato ai nuovi media digitali. Quando il designer parla di voler aprire un «dialogo con il pubblico» sembra essere inconsapevole di come i brand di moda, su ogni livello, dialoghino con il proprio pubblico ogni giorno attraverso i media digitali. Se la moda ha un problema mediatico, oggi, non è la sua assenza dagli schermi televisivi ma la sua sovraesposizione mediatica che la porta ogni giorno a intasare i feed Instagram dei suoi appassionati, ad apparire in video musicali e serie tv oltre che negli eterni dibattiti che animano le online community di tutto il mondo. Non si capisce, insomma, a beneficio di quale tipo di pubblico si possa svolgere una sfilata di moda in diretta televisiva.
Per di più, i linguaggi della moda non hanno mai trovato una efficace traduzione televisiva. Lo show che forse dialoga più vivacemente con l’autentica moda di oggi è Ru Paul’s Drag Race nel quale appaiono con una certa frequenza esplicite citazioni a sfilate, designer e celebri fashion moments, pur trattandosi di uno show per cui la moda è un elemento di contorno, più focalizzato sulla personalità e sulla performance dei partecipanti. Gli altri due più celebri programmi a tema moda apparsi della sfera dello streaming sono Project Runway e Making the Cut, entrambi longevi ma alquanto infelici dal punto di vista della critica, oltre che enormemente periferici rispetto al vero universo della moda.
Il fascino della moda risiede infatti più nella cultura che circonda questo modo che nel glamour promesso da un simile evento che, per necessità di narrazione, sarà senza dubbio condito dagli ingenui espedienti narrativi di uno show televisivo di una rete generalista come La7 oltre che una probabile rappresentazione di Armani come santo patrono di una moda bourgeois (per non dire noiosa) che non esiste più da anni. Per questo uno storytelling televisivo e nazional-popolare sulla moda sarebbe forse più funzionale sotto forma di documentario informativo sulla storia e i protagonisti di questo mondo che di «spettacolarizzazione».
Le idee dello stilista sulle contraddizioni del fashion system e il suo desiderio di porre enfasi sul prodotto e non sulla comunicazione cercando un dialogo con il pubblico restano comunque del tutto condivisibili, così come è lodevole l’etica che informa le sue decisioni di sfilare a porte chiuse – ma rimane aperta la domanda sul target di una sfilata-evento in tv. Buyer e stampa guarderebbero lo show in ogni caso per necessità professionali, diverso è invece il discorso per il pubblico generalista, notoriamente poco interessato a questo tipo di eventi.