Perché i creativi dei brand sono diventati il volto di lookbook e sfilate
Acne Studios, Burberry, Gucci e i nuovi volti della moda
03 Settembre 2020
Nella campagna Acne Studios per la collezione FW20 scattata da Anders Edström non sono stati usati modelli convenzionali. Quelli che popolano gli scatti della campagna sono infatti i volti dei dipendenti del brand, immortalati dal fotografo in compagnia dei propri cani. Il direttore creativo del brand, Jonny Johansson, si è voluto infatti ispirare alla sottocultura degli amanti dei cani – che risuona esteticamente con il leitmotiv canino espresso attraverso gli abiti dell’intera collezione. E anche se questa sua scelta appare pienamente circostanziata e coerente, è impossibile non comparare questa campagna allo show digitale Epilogue di Gucci e al lookbook di Burberry per la collezione Resort 2021, entrambi presentati lo scorso luglio nelle fasi finali del lockdown.
La scrittrice Agatha Christie diceva: «Un indizio è un indizio. Due indizi sono una coincidenza. Tre indizi sono una prova». Quando tre brand diversi decidono di utilizzare il proprio team come volto di campagne e lookbook, non si può parlare di semplice trend ma di un vero e proprio statement. Queste tre campagne sono insomma la prova che la moda sta vivendo un momento di introspezione, dovuto sicuramente alla crisi sanitaria e economica che stiamo vivendo, che è stata però lo spunto per progetti diversi.
La decisione di creare questo tipo di campagne aggiunge relatability a lookbook e campagne, che portano in primo piano (e in veste di persone e non di semplici volti) i singoli individui che contribuiscono ogni giorno alla costruzione dell’identità di un brand con un più potente effetto di identificazione in chi le guarda. Come Don-Alvin Adegeest di Fashion United fa notare commentando la campagna di Acne Studios:
Anche se le pubblicità patinate resteranno sempre di moda, i tempi attuali hanno dato spazio a uno storytelling più autentico, con i brand che cercano nuove maniere di connettersi al pubblico attraverso uno sguardo più realistico.
Gucci ad esempio ha portato in prima linea i suoi designer nel tentativo di Alessandro Michele di capovolgere i metodi con cui la moda lavora, spettacolarizzando i suoi stessi designer e trovando in essi i migliori interpreti dell’estetica del brand. Burberry, d'altro canto, ha esaltato la dimensione umana del proprio team, fotografandolo di fronte alle tipiche case londinesi sottolineando anche l’unione geografica (per non dire cittadina) del proprio team, direttamente collegata all’heritage inglese del brand che viene invece riletto in chiave moderna, esaltando i valori di diversity e inclusivity - esaltazione che è anche il fine ultimo di queste campagne.
Acne Studios ha invece scelto di puntare sulla dimensione domestico-emotiva evocata dall’accoppiata cane e padrone, e unificando il concept dal punto di vista visivo ambientando tutti gli scatti nella sede principale del brand a Stoccolma – un edificio in stile brutalista anni ’70, prima occupato dall’ambasciata Ceca, il cui utilizzo come fondale chiude idealmente il cerchio. Il messaggio sottinteso è che non servono particolari acrobazie visive o di concept per raccontare l’identità di un brand: bastano le persone che lavorano per quel brand (umanizzate dalla presenza dei propri compagni canini), con indosso i vestiti di quel brand, nell’edificio che ospita gli headquarter di quel brand.
Un feeling riassunto alla perfezione da Alessandro Michele che nelle sue note allo show di Gucci Epilogue aveva detto: «Gli abiti saranno indossati da chi li ha creati. [...] Saranno loro a esprimere la poesia che hanno contribuito a plasmare».