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La moda deve cambiare per sopravvivere: intervista a Drip Dossier

L’account insider della fashion industry ci parla del mondo luxury dopo il covid e della sua necessità di cambiamento

La moda deve cambiare per sopravvivere: intervista a Drip Dossier L’account insider della fashion industry ci parla del mondo luxury dopo il covid e della sua necessità di cambiamento

Nell’enorme calderone di account Instagram dedicati alla moda, tra suggerimenti sull’outfit giusto e foto per flexare l’ultimo cop, Drip Dossier rappresenta una ventata di novità per chiunque voglia apprezzare l’idea nascosta dietro un brand o un capo. Dai post dedicati a Kanye West alla recente collabo con Grailed, l’account Instagram di Drip Dossier è diventato una piccola enciclopedia del mondo della moda, spaziando tra brand e creator in un'indagine su un mondo in continuo cambiamento.

Per questo abbiamo deciso di scambiare qualche email con Drip Dossier per capire il presente e il futuro dell’industria dopo il covid, tra Phygital e la necessità di reinventare un sistema.


Come nasce Drip Dossier?

Nasce dall’intenzione di avere un occhio attento al mondo del design, troppo spesso digerito troppo velocemente senza apprezzarne le intenzioni. Tra la moda, l’architettura e l’industrial design siamo circondati da una grande quantità di lavori incredibili. Non avendo studiato design, trovo estremamente soddisfacente prendermi il mio tempo per fare un po’ di ricerca e scoprire cosa si nasconde dietro ogni cosa.



Gli ultimi mesi non sono stati di certo positivi per molti brand, cosa sta succedendo nel dietro le quinte del mondo della moda dopo l’emergenza Covid-19?

Ci sono stati moltissimi cambiamenti nel modo in cui la moda ha deciso di mostrarsi al pubblico da quando è scoppiata la pandemia. Da un lato c’è stata l’innovazione dettata da alcuni brand, obbligati a chiedersi come mostrare il nuovo materiale senza ricorrere alla passerella. L’attenzione si è spostata sulla ricerca di una collezione in grado di parlare attraverso un nuovo formato digitale, azzerando le distanze tra chi poteva vedere lo show dal vivo e chi poteva vederlo solo online. 

Possiamo solamente sperare che il vuoto lasciato dall’obbligo di una accesso fisico limitato possa essere riempito da cose come 3D-Rendering (Undercover SS21), show “Phygital” (Ermenegildo Zegna SS21) e AR (Chanel).



Vista la necessità di trovare un nuovo modo di esistere sul web, ci sono brand che si stanno muovendo in una direzione di rinnovamento?

Quando si tratta di un’esperienza digitale innovativa sono molto curioso sul futuro di Yeezy Supply. Il piccolo assaggio visto nel documentario di Nick Knight ci ha fatto capire quanti aspetti dello shopping online possono essere rivisti con oltre 10mila ore di sviluppo web. Un ambiente simile ad un gioco e senza testo, in cui dei rendering 3d degli abiti possono essere usati per vestire dei personaggi scelti tra le personalità che stanno facendo la differenza nella loro comunità. Il concetto è profondo, combinato con un visual minimale scelto per esaltare il prodotto.

L’idea di uno store del genere è perfettamente in armonia con la visione di Ye, quella dell’abbigliamento come un tipo di provviste. Sono curioso di scoprire se altri brand prenderanno spunto per investire in un’esperienza e-commerce più immersiva.


I brand dovrebbero puntare di più sul rinnovamento della web experience per aiutare le vendite? C’è il rischio che qualcuno sottovaluti questo aspetto?

Nel luxury i brand che storicamente evitano l’e-commerce per mantenere un alone di esclusività stanno pagando il conto di questa scelta. Chanel ha predetto un crollo delle vendite lungo due anni, mentre i competitor di LVMH più preparati a spostare il peso online stanno vedendo un futuro migliore (le azioni di LVMH hanno guadagnato in modo sorprendete il 49% da quando la pandemia è calata). D’altro canto mi aspetto che un brand e-commerce friendly come Hermès possa performare meglio di Goyard, un livello superiore nel mondo luxury che però non ha alcuna presenza online.

Mentre gli store online sono sempre più importanti a causa della chiusura di quelli fisici, il web non è l’unico modo per aumentare le proprie vendite. Dopo tutto, molti acquirenti luxury interessati a un prodotto specifico che ha catturato la loro attenzione non si lasceranno frenare dalla mancanza di e-commerce (anche perché possono sempre chiedere a un advisor di spedire l’oggetto direttamente dallo store). Dobbiamo ancora vedere come la scelta fatta da Gucci, Dior e Louis Vuitton di sostituire gli show fisici con delle presentazioni video impatterà sulle vendite, ma mi aspetto che i brand continuino ad esplorare modi alternativi di rendere il prodotto accattivante in questa nuova situazione.

Con le vendite in calo e alcuni brand indietro con le strategie di rinnovamento, pensi che esista un rischio reale di doversi ridimensionare o peggio fermare?

I retailer fisici andranno incontro a una serie di difficoltà mai viste prima. L’effetto è stato particolarmente pesante qui negli Stati Uniti, dove abbiamo visto i fallimenti di alto profilo di nomi come J Crew e Nordstrom, ma anche dei negozi più piccoli che aggiungevano un valore importante alle loro comunità.

Per il futuro, è importante pianificare partendo dalla certezza che le misure di distanziamento sociale e altre precauzioni rimarranno con noi a lungo. Significa eventi ridotti e più cancellazioni, quindi bisogna adattarsi. Penso che questo cambiamento aiuterà l’acquirente medio… dopotutto starà ai brand trovare il modo di far arrivare il loro messaggio ora che non potremo più andare negli store o agli eventi. Saremo tutti sullo stesso piano in un’esperienza vissuta in remoto, indipendentemente da dove viviamo.

In definitiva, per rialzarsi da questa situazione i brand dovranno ripensare la loro idea di moda? Bisogna rallentare per sopravvivere?

Il calendario delle collezioni, da tempo alla ricerca di un cambiamento, potrebbe finalmente essere costretto a evolversi a causa della pandemia. Mentre i brand più piccoli sono da sempre più dinamici e capaci di crearsi i loro piani, i leader di questo settore si stanno aprendo solamente adesso al cambiamento. Abbiamo visto Gucci mettere in scena il suo ultimo show fedele al vecchio calendario, per poi passare a due show all’anno invece dei cinque tradizionali. Recentemente il British Fashion Council ha creato un manifesto con il Council of Fashion Designers of America per chiedere ai designer di ripensare il loro business model. Si parla di limitare le collezioni a due all’anno ma mostrandole in una delle capitali della moda per “evitare lo sforzo a buyer e giornalisti di viaggiare costantemente”. Personalmente sono favorevole a qualsiasi cambiamento che contempli un rallentamento dell’industria. Dobbiamo scegliere se volere meno vestiti che ci sembrano vecchi dopo una stagione o se volerne di più che richiedono tempo ma che durano più a lungo.