"Il design è problem-solving": intervista al padre delle Balenciaga Triple S
David Tourniaire-Beauciel racconta della sua carriera, dei suoi successi e dei suoi progetti futuri
10 Luglio 2020
Concept
Sangi ed nss vogliono accendere un riflettore sul mondo del footwear design e approfondire concretamente il processo di disegno, progettazione e realizzazione delle sneakers attraverso delle interviste con i più importanti footwear designer in circolazione, che ci racconteranno le loro esperienze e il loro metodo.
Designer
Il primo ospite della rubrica è una leggenda del footwear design: Tourniaire-Beauciel. Francese di nascita ma italiano d'azione, ha raggiunto il successo lavorando per alcuni dei marchi più importanti del mondo della moda.
Ciao David, per me è un vero piacere poter intervistare un'autorità di questo settore come te. Da cosa nasce la tua passione per le scarpe?
Sono nato in una cittadina francese chiamata Romans sur Isére. Una cittadina dedicata al business delle scarpe di lusso francese. Sono cresciuto da ragazzo di strada e le mie passioni erano la BMX e la motocross, ho partecipato anche ai campionati del mondo. Appena ho visto una sfilata di Jean Paul Gualtier su una rivista nell'87 ho capito che la moda poteva essere reinterpretazione del mondo della strada. Ricavava braccialetti dalle lattine, anelli dai chiodi e mi fece capire che la bellezza poteva venire da qualcosa di semplice, non c’era bisogno che fosse d’oro o pieno di gioielli. Jean Paul Gualtier fu anche il primo a fare street casting per i modelli, non casting ufficiali. Dopo il liceo scelsi di fare una scuola di moda a Lione ma frequentai solo il primo anno. Però li imparai a disegnare, a fare un dossier e a scegliere i materiali. Poi tornato a Romans mi iscrissi ad una scuola tecnica e non creativa. Imparai a industrializzare, creare la gamma operativa e valutare i costi di schizzi realizzati da altri designer. In quel momento capì che nella realizzazione di una scarpa quelli erano i processi più importanti.
Ci racconti gli inizi della tua carriera?
Ho iniziato con uno stage di 6 mesi a Bordeaux presso un brand francese di surf chiamato Oxbow. Volevano lanciare una linea ispirata alla motocross, quindi era l’opportunità perfetta per me. Col tempo compresi che però non faceva per me poiché si rifacevano ad un immaginario che mi dava poco margine creativo. Fu comunque una esperienza molto formativa, dopo la quale rientrai nella mia città natale. A Romans iniziai progettare scarpe tutto il giorno a casa di mia nonna, con l’idea di andare a presentare le bozze dai grandi calzaturifici locali, che producevano per importanti marchi come Claude Montana, Louis Vuitton, Issey Miake e Karl Lagerfeld. In quelle grosse aziende lavoravano grandi designer da tutto il mondo, Romans era un punto di riferimento per la moda all’epoca, un po’ come Vigevano lo era in Italia. Presi le prime porte in faccia da Kelian, che guardando i miei schizzi mi fece capire che non aveva bisogno di me. Ma a furia di insistere mi feci notare e mi diedero l’opportunità di stare in azienda a fare il lavoro sporco utilizzando tutti gli strumenti e i macchinari a patto che non avrei disturbato o chiesto aiuto a nessuno. Ero li tutti i giorni a fare maquette su maquette.
La prima scarpa che realizzai per la linea di Kelian inizialmente piacque molto, tanto che Stephane (il direttore creativo e fondatore) la prese in mano e sparì per qualche minuto. Al suo ritorno mi guardò e mi disse che quella scarpa era una m***a, lanciandola via con forza! Realizzai successivamente che quella era la prima lezione della mia carriera professionale. In quell’intervallo di tempo Stephan Kelian era andato a far costificare il modello, e i prezzi di produzione erano troppo elevati per il target e la fascia di prezzo del suo brand. Aprì la grossa finestra del suo ufficio che si affacciava su tutto lo stabilimento e mi spiegò: “Qui dentro lavorano più di 800 persone che io pago tutti i mesi per mantenere le loro famiglie; se non fate un buon lavoro non posso più permettermi di farlo". Il design di moda consiste nell’interpretare al massimo le necessità del brand per cui lavori. Si può sperimentare e innovare ma rispettando il DNA del brand. Trovare il giusto compromesso tra il trend e il DNA del brand. Questa è la chiave del successo di un prodotto. Bisogna quindi sviluppare la capacità di comunicare con tutto il team operativo, per coinvolgere tutti e dare energia propositiva al progetto. La conversazione deve essere aperta per trovare insieme ogni soluzione, coinvolgendo tutti.
Di recente ho collaborato con MGT, un importante calzaturificio in Abruzzo. Lì ho compreso la complessità del processo dietro al prodotto finito e mi sono reso conto di quanto rispetto bisogna portare ai numerosi professionisti che lavorano ad ogni fase della produzione.
Esatto, il risultato finale è la sommatoria di una serie di compromessi e mano a mano al progetto si fanno piccole modifiche, è un percorso. Il design è problem solving, bisogna avere la mente elastica. Il designer deve tenere in considerazione anche del business, sa che quella scarpa dovrà contenere una serie di valori ed essere venduta. Forse in quello consiste la differenza con un artista. Ho lavorato da Kelian dal ’91 al ’93 disegnando calzature per la linea omonima. In quel periodo proprio Jean Paul Gualtier firmò un contratto di licenza con la nostra azienda. All’epoca Jean Paul inviava via fax i disegni e Kelian si occupava della produzione in serie.Avevo disegnato una maquette per la collezione di Stephan Kelian e successe che tra i disegni inviati da JPG compariva una scarpa che era esattamente identica a quella che avevo disegnato io. Stephane comprese che le mie idee si avvicinavano molto al mondo di JPG e decise che da quel momento mi sarei occupato di seguire la collezione. Ero molto orgoglioso, anche se inizialmente mi occupavo più della parte di sviluppo prodotto che dello stile. Dopo 6 mesi che lavoravo con Jean Paul Gualtier mi chiamò il footwear designer, dicendomi che aveva appena firmato con Kenzo e di li a poco se ne sarebbe andato dalla attuale maison francesce. Mi invitò a mostrare i miei lavori direttamente a JPG, per provare a prendere il suo posto nella direzione del design. Presi subito un treno per Parigi e portai con me un bagaglio enorme pieno di maquette. Era la mia grande occasione. Andai nel suo ufficio di fianco alla Bastiglia e mi ritrovai a parlare con una icona. Ero emozionato perché io ero un giovane ragazzo di provincia e mi ritrovavo faccia a faccia con un idolo, un maestro. Alla fine del nostro colloquio tornai in treno rassegnato, perché non avevo notato entusiasmo sul suo volto.
Per tre settimane non ebbi notizie e persi le speranze, fino a quando mi chiamò il designer uscente. Era venerdì quando mi diede la grande notizia, dicendomi che lunedì avrei iniziato ufficialmente. In due giorni mi organizzai e trovai un appartamento a Parigi. Quello fu l’inizio della mia esplosione professionale. Fu li che entrai veramente nel pieno della moda. Nell’ufficio stile si respirava un clima di entusiasmo, era un team di pazzi visionari.
Ho lavorato due anni da JPG sperimentando nuove forme e materiali. A Roman avevo avuto una formazione molto tradizionale e classica ma volevo allargare le mie competenze. Nel 1995 fui investito dall’interesse per l’innovazione del settore sportwear, così decisi di andare in Spagna per conoscere da vicino le nuove tecniche di iniezione e vulcanizzazione. Approcciai così il mondo delle sneakers e cominciai a lavorare con un brand spagnolo chiamato Nobox.
E cosa apprezzavi maggiormente delle sneaker rispetto alle calzature tradizionali?
Mi sentivo libero di esplorare nuovi volumi e materiali. Si potevano finalmente fare stampe che andavano oltre i modelli conosciuti all’epoca. A me piaceva sperimentare. Dopo Gaultier ho lavorato per cinque anni da Chloè al fianco di Phoebe Philo. Dopo altri cinque anni mi contattò lo studio di Martin Margiela e andai a presentare il mio lavoro. Iniziai a comprendere la sua visione, nella quale un errore può diventare il punto di forza. Martin vedeva le cose in maniera diversa da come le vedevano gli altri, e le elaborava attraverso un design semplice ma allo stesso tempo geniale. Era un nuovo approccio ai progetti, che partiva sempre da un concetto, un’idea, un’intuizione. […] Nel 1988 Martin Margiela lasciò l’omonima casa di moda e fu rimpiazzato da Nina Nitsche, che fino a quel momento era stata la sua assistente. Il nuovo assistente era Demna Gvsalia [attuale direttore creativo di Balenciaga, ndr]. Fu proprio li che ci conoscemmo e da subito ci capimmo. Ero freelance all’epoca e oltre a Margiela collaboravo con Givenchy sotto la direzione creativa di Riccardo Tisci. […] Infine ebbi l’opportunità di collaborare con Ferragamo a Firenze […]. Mi occupavo della direzione creativa e del management dell’intera sezione scarpe. Dopo 6 anni da Ferragamo, mi chiamò Demna Gvsalia che era diventato il creative director di Balenciaga. La prima scarpa su cui lavorammo fu la Speed Runner. Il design, costituito da un calzino su un fondo da trainer, era molto particolare e lasciò tutti stupiti. Quando Demna mi chiamò per fare delle scarpe grosse e particolari, che poi furono le Balenciaga Triple S, era perfetto perché avevo già sperimentato anni prima forme di quel tipo.
Da cosa nasce l’idea di lanciare il tuo brand Shoes53045?
Volevo affrontare una nuova sfida. Un designer deve capire che ha bisogno di un team e di collaboratori. È stato un fornitore in Cina che mi ha permesso di superare i problemi tecnici produttivi che avevamo in Europa. La suola delle Bump’Air non si può realizzare in Europa perché non abbiamo gli strumenti e le tecnologie per iniettare aria all’interno della suola, o quanto meno non cosi tanta! Shoes53045 è come uno sgabello che poggia su tre piedi: design in Europa, produzione in Asia, e gestione amministrativa a Los Angeles.
Come nascono il nome e il logo?
É molto divertente la storia che c’è dietro: ero in palestra e mi stavo allenando sul tapis roulant, quando mi fermo a guardare le cifre sullo schermo. Compariva 53045, che ribaltato si legge “Shoes”, e ho subito pensato che il brand doveva avere un ispirazione sportiva ma anche ironica. In Asia l’anno capito subito, forse perché loro vivono in una costante ibridazione di tradizione e innovazione, per le strade passi velocemente da antichi templi di preghiera a maestosi grattacieli futuristici.
Ci siamo divertiti parecchio. Le tecniche di progettazione e produzione delle sneakers ti permettono di sperimentare, azzardare e innovare. I miei partner mi inviano spesso ricerche di nuovi materiali o metodi di cuciture alternativi che poi diventano la base per progetti innovativi. Ci tengo anche a far notare che io e la mia socia Aurelia abbiamo deciso di non presentare intere collezioni stagionali. Facciamo un drop ogni 45 giorni circa, presentando mano a mano nuovi modelli. Sono appena usciti i nostri sandali e vengono droppati esattamente quando servono.
Proprio in questo particolare periodo storico voi avete anticipato una tendenza. Senza saperlo avete iniziato ad utilizzare questa strategia, dettata dal buon senso.
Siamo un brand sincero e trasparente e ci teniamo molto. Diciamo che utilizziamo materiali vegan proprio perché non utilizziamo la pelle ma il sintetico. Non siamo ancora sostenibili al 100% ma stiamo già facendo ricerca e lavorando per diventare ancora più ecofriendly attraverso l’upcycling. I consumatori spesso non si spiegano come possa variare il prezzo in base alla colorway ma con sincerità basterebbe spiegare il lavoro che ce dietro. Se il fornitore deve creare il colore su nostra richiesta specifica, ovviamente la disponibilità cambia e il prezzo si alzerà se pur di poco. Onestà, questa è la direzione da seguire. Siamo un brand diverso come approccio, qualità e comunicazione. Sui social parliamo un linguaggio semplice e cool, e coinvolgiamo i nostri follower con foto e video che poi repostiamo. Inizialmente pensavamo di vendere solo online, ma ci siamo velocemente resi conto che le persone hanno bisogno dell’esperienza e di poterle vedere fisicamente. Abbiamo intenzione di organizzare eventi energici in pieno stile Shoes53045. Il passo successivo avverrà quando presenteremo il nuovo modello. Una evoluzione. Una nuova sfida. Il nuovo fondo avrà lo stesso principio ma declinato in un altro modo. Rappresenta l’incontro di diversi input, che si conciliano in un design rinnovato e universale.Contiene tutto il DNA di Shoes5305 e viene incontro alle esigenze di tutti. Il canvas della tomaia sarà sostenibile e anche il prezzo sarà più contenuto. Continueremo a produrle in taglie unisex senza misure intermedie. É difficile scegliere la taglia giusta online e la nostra soluzione é fornire due paia di solette intercambiabili e di diversi spessori all’interno della scatola, in modo che ciascuno possa utilizzare quelle che trova più comode. Sempre all’interno forniamo anche una sacchetta e degli adesivi. La nostra idea di moda è piacevole e fruibile a tutti e le nostre scarpe concedono di essere eccentrico senza pero risultare strano o stravagante. Nei miei lavori, quando progetto qualsiasi calzatura, penso ad una persona che affronta una vita reale, la normalità, non alla principessa o alla vita da cartellone pubblicitario
Hai lavorato per alcuni dei marchi più importanti al mondo e credo che la soddisfazione personale nell’aver contribuito alla crescita della cultura della scarpa sia impagabile. Come ci si sente ad essere un’icona del mondo del footwear?
La gente mi definisce così, ma io non mi sento tale. Quando penso di essere arrivato faccio le cose male, non trovo stimoli, mi annoio. Le peggiori cadute che ho fatto in motocross succedevano durante il giro finale di esultanza, mentre non ero concentrato.
Che consigli daresti ad un giovane designer?
Nella progettazione della moda ed in particolare delle scarpe, bisogna trovare il giusto compromesso. Ad esempio tra durabilità e comfort. O tra prezzo, tecnica e materiali. Compromesso che va inteso come soluzione ideale, d’altronde il design è problem solving. E non bisogna avere paura della parola "commerciale", non significa che sia il compromesso sbagliato. Nel design ci sono due regole: capire per chi si sta disegnando la scarpa, per comprendere il contesto in cui si opera, e pensare alla tecnica non come limite della creatività, ma come sua parte integrante.
Quale direzione pensi che prenderà il footwear design in futuro?
Il futuro è la tecnologia. Mi aspetto materiali nuovi che diano la possibilità di trovare nuove funzionalità. Parlo di nuovi volumi, nuovi sistemi di allacciamento, cose che aiutano la vita di tutti i giorni.
Qual è la tua scarpa preferita? E la tua preferita di quelle che hai progettato?
Sono da sempre un fan di Nike e le mie preferite sono frutto della collaborazione con Marc Newson, le Zvezdochka. Sono geniali. Si possono smontare e riciclare. Le componentistica permette di avere tre scarpe in una. Il design è semplice e funzionale. A casa ne ho un paio OG del 2004. Delle Nike mi affascina il fatto che le possa indossare anche mio padre che è disinteressato e ne acquista un paio economico senza pensarci troppo. Lo stesso brand poi offre una gamma di sneakers di tendenza e altamente tecniche. SHOES 53045 diventerà così. É difficile scegliere quale mio progetto mi piaccia di più, ho lavorato davvero su tantissimi scarpe, forse però la mia sneaker preferita è quella il mio progetto più ambizioso: il prossimo modello di SHOES53045. É versatile, dal prezzo contenuto e rappresenta l’apice della mia ricerca.
Glossario
Maquette: prototipo della suola, di solito realizzata in legno o resina
Modellisatica: progettazione delle componenti in piatto
Licenza: Contratto siglato tra il calzaturificio che produce i modelli e il brand con cui verrannocommercializzate
Iniezione: iniezione di materiale (di solito PVC – TPU – EVA – TR) in stampi predisposti chiusi dalla forma di alluminio rivestita della tomaia
Vulcanizzazione: suola saldata direttamente sulla tomaia per mezzo di stampi riscaldati