La voce fuori dal coro della moda
La risposta del direttore della Camera della Moda alle proposte di riforma dell’industria
29 Maggio 2020
Nelle ultime settimane, sempre più grandi protagonisti del settore della moda internazionale hanno richiesto un cambiamento nel sistema delle sfilate e nell’usuale calendario della moda. Alessandro Michele ha chiamato quello delle stagioni della moda uno “stanco rito”, mentre Armani ha definito “un po’ volgari” gli show delle pre-collezioni. A queste e altre dichiarazioni, come quella di Dries Van Noten e quella co-firmata dal CFDA e dal British Fashion Council, hanno fatto seguito linee di azione concrete da parte di Saint Laurent e Gucci, creando la sensazione di un grande cambiamento in arrivo. L’unica voce fuori dal coro, nei giorni recenti, è stata quella di Carlo Capasa, direttore della Camera Nazionale della Moda Italiana, la cui diffidenza nei confronti di questo riformismo è da un lato giustificata dal suo ruolo ma dall’altro ha sollevato interessanti questioni sul sistema delle fashion week che non erano ancora state toccate.
“Non accettiamo il concetto di see now-buy now, anche se può funzionare per alcuni marchi. Ma quando Burberry o Tom Ford l’hanno provato, non ha funzionato molto bene, vero?”
Ancora diffidenza è stata espressa nei confronti del formato co-ed in quanto i mercati di menswear e womanswear hanno buyer, retailer e produttori diversi e dunque sarebbe più pratico ed efficiente tenerli separati, sottolineando anche come organizzare molti eventi nell’ambito della stessa manifestazione costituisca un risparmio e non uno spreco. In sostanza, Milano continuerà ad aderire al modello delle quattro fashion week annuali: gennaio e giugno per le collezioni maschili, febbraio e settembre per le femminili. Nonostante ciò Capasa ha supportato sia l'adozione dei nuovi formati digitali che le idee di Armani e Dries Van Noten a proposito del riallineamento dei cicli del retail e della necessità di un ritorno dello slow fashion, ammettendo di fatto le colpe del sistema attuale:
“Sì, i negozi stavano anticipando troppo le stagioni e c’erano troppo ribassi. […] Dobbiamo ristabilire l’idea che il nostro prodotto ha un valore. Forse sì, c’era troppa produzione nel fast fashion, e nel nostro mondo, quello dell’alto di gamma, sfortunatamente abbiamo seguito troppo il fast fashion”.
Un nuovo equilibrio è possibile?
Che il direttore della Camera Nazionale della Moda Italiana appaia cauto e conservatore non è una sorpresa. L’ente che Capasa rappresenta è l’organismo regolatore della moda stessa, il primo responsabile e promotore della fashion week, ed è naturale che i tentennamenti dei brand, che minacciano di sfilare secondo tempi propri e imprevedibili, costituisca un elemento perturbatore per un’organizzazione tanto complessa e delicata. La frenata di Capasa sulle eccessive innovazioni, poi, riguarda non solo l’autorità e l’immagine della Camera della Moda ma il fatto che la fashion week è una piattaforma per i brand. In altre parole, un top-player come Gucci può sfilare dove e come vuole e il suo show avrà sempre rilievo – lo stesso non si può dire di brand più piccoli o ancora emergenti per cui sfilare in fashion week è un’affermazione di status necessaria. In questo senso vanno spiegate le parole di Capasa sull’efficienza del sistema tradizionale:
“In questo momento, tutti vogliono cambiare tutto. Ma il cambiamento dovrebbe partire dall’interno di ognuno di noi. Non dimentichiamoci che il nostro business, storicamente, ha sempre funzionato molto bene. Basta pensare al numero di giovani designer che oggi hanno successo.”