Dopo la pandemia, il mercato del lusso dipenderà sempre più dalla Cina
Nel 2025 la clientela cinese rappresenterà fino al 49% del luxury mondiale
12 Maggio 2020
Ormai è chiaro che il 2020 può essere considerato un annus horribilis per il mondo del lusso. Fra la cancellazione delle fashion week fisiche, la chiusura del retail e gli enormi ritardi accumulatisi nella schedule della filiera produttiva, il luxury market dovrà affrontare una lunga fase di ripresa – fase in cui il mercato cinese sarà ancora più fondamentale di prima. Uno degli effetti che la crisi da Covid-19 ha avuto, specialmente nei suoi momenti iniziali, è stato sottolineare quanto il volume di consumi e di produzioni proveniente dalla Cina fosse importante per l’industria della moda che, subito dopo il lockdown iniziale di Wuhan, aveva dovuto affrontare le prime serie perdite: lo stop del mercato in Asia, seguito nei primi mesi dell’anno a quello in Occidente, ha causato una perdita del 25% nei profitti dell’industria nel primo trimestre. Allo stesso tempo, però, la Cina sarà anche la principale base del rebound economico per la moda. Un report di Bain & Company e Altagamma dice infatti che:
C’è grande probabilità che il luxury shopping si riavvii prima in Cina se il virus rimane sotto controllo; il proseguimento delle restrizioni sui viaggi significherà inoltre che molti acquisti che sarebbero stati effettuati all'estero verranno invece effettuati in Cina.
Lo stesso report indica come i paesi occidentali, colpiti più duramente dalla pandemia, avranno una ripresa più lenta e la rapida ripresa economica cinese marcherà ancora di più la disparità fra Oriente e Occidente. Secondo lo stesso report citato sopra, entro il 2025 il mercato del lusso raggiungerà un volume di €320-330 miliardi di euro – e il risultato sarà in gran parte dovuto proprio al potere d’acquisto della clientela cinese. Se infatti ad oggi la Cina costituisce da sola il 35% delle vendite per il mercato del lusso, fra cinque anni arriverà a occuparne la metà con percentuali che si aggirano fra il 47% e il 49%, ma concentrandosi maggiormente sul consumo domestico. Anche il resto dell’Asia seguirà questo trend con il Giappone in testa e il turismo infra-regionale, che dovrebbe svilupparsi a discapito di quello inter-continentale, reso rischioso, se non proibito del tutto, dalla pandemia.
Fino a questo momento infatti, una considerevole parte delle vendite nel campo del luxury fashion avvenivano comunque in occidente, sia alimentate dai notevoli flussi turistici e dal cambio di valuta che rendeva più vantaggioso per i turisti asiatici acquistare in Europa. Ma il recente taglio dei dazi sulle merci europee, la riduzione delle figure dei daigou – sorta di intermediari per i buyer cinesi – e l’abbassamento dei prezzi operato nel paese da brand come Louis Vuitton, Gucci, Hermès e Burberry hanno stimolato la spesa domestica. Per questo le proiezioni del report di Bain e Altagamma mostrano che, se nel 2019 solo l’11% delle spese di lusso avveniva sul territorio cinese, nel 2025 la cifra salirà al 28%.
In questo senso, l’attuale crisi del Covid-19 fungerà probabilmente da elemento accelerante per lo sviluppo di trend di mercato che, senza pandemia, avrebbero avuto un’evoluzione molto più lenta. Le proiezioni illustrate dai recenti report parlano di un mondo in cui gli assi economici del lusso si sposteranno verso l’Oriente. Fra gli altri cambiamenti previsti per il futuro ci sono anche una più diffusa integrazione del phygital che porterà alla nascita di un nuovo sistema omnichannel; un drastico ridimensionamento sia del ruolo del negozio fisico, che della rete di distribuzione e del ruolo dei centri commerciali, oltre che una nuova importanza attribuita al concetto di sosteniblità.