Il Nuovo Lusso minimale di Bottega Veneta
Daniel Lee si riconferma come uno dei designer più interessanti sulla scena
25 Febbraio 2020
Fra gli imponenti e luminosi teatri creati da brand come Moncler, Gucci e Versace, con ampio dispiegamento di cabine rotanti, megaschermi e plateali installazioni, lo show della collezione FW20 di Bottega Veneta è stato elegante e contenuto. Non ha cercato di creare colpire con la magnificenza della location, nè è stato più intellettualistico di quanto un fashion show richieda di essere. La passerella bianca correva in mezzo a una serie di separé semiopachi su cui era proiettata l’immagine di un portico neoclassico popolato di statue. Ad accompagnare i modelli in passerella c’era una musica d’archi sensuale, ostinata e a tinte fosche, che insieme al richiamo architettonico al porticato immerso nell’ombra e alle sottili animazioni per cui le statue in lightpainting si muovevano ricordava certe atmosfere gotiche dei romanzi di Thomas Harris e del film Intervista col Vampiro di Neil Jordan. Ma a contrasto di questo oscuro romanticismo, l’intero spettacolo si basava su una forte presenza della tecnologia e della sua capacità di rievocare il sentimento. Si trattava però di una tecnologia non ostentata né ansiosa di stupire con gadget futuristici, ma discreta al punto da nascondere macchinari e proiettori, elaborata senza iattanza, con un effetto etereo quasi da lanterna magica.
Questo set era la cornice più adatta per la collezione che ha sfilato in passerella. A dominare la palette di colori è stato, come è immaginabile, il nero, in una serie di silhouette rigorose e aderenti, ma con twist drammatici improvvisi dati dalle sottili svasature di maniche e pantaloni, dall’uso controllato eppure plateale delle frange, dai baveri enormi e affilati su giacche e knitwear e dalle improvvise iniezioni di verde neon e rosa shocking sia in veste di inserto sui look più scuri che come esplosioni di colore all-over su alcuni dei look massimalisti. La seconda metà della sfilata, invece, ha presentato una serie di colorazioni più “diurne” sui toni del verde, del beige, del rosso e del cioccolato. Il virtuosismo tecnico della maglieria, degli abiti femminili e dell’intrecciato (che è stato riproposto anche in un ibrido fra vest e puffer jacket oltre che negli accessori) è estremo, ma non arriva mai a denotare esclusivamente i capi, a ridurli a pura esibizione di talento. L’amore che Lee nutre per la danza è molto visibile dall’utilizzo di tessuti elastici nei capi che insieme ai tagli creativi e alle frange che decorano gli orli inferiori di maniche e gonne definiscono ed esaltano la figura umana e il suo movimento, insieme anche all’aspetto visivo e alla texture dei materiali.
Daniel Lee, il meritatamente celebrato direttore creativo del brand, è uno dei portavoce di quel nuovo lusso che ha caratterizzato la moda degli ultimi anni – uno dei cui elementi chiave è il valore dell’esperienza. Il suo show è stato il secondo più visto dell’intera fashion week, con l’8,8% di share e, subito dopo, la parola “fringe” ha avuto un aumento del +198% di ricerche online. E in una fashion week in cui le sfilate sono rimaste fra il tradizionale, il già visto e il pomposo, il suo show è stato in grado di coniugare, con il talento tipico dei britannici per l’understatement, estetica e spettacolo senza superare mai il segno nè sbilanciarsi ma portando avanti una visione precisa e complessa – una visione giustamente celebrata dall’archivio digitale @newbottega curato da Laura Rossi e anche dalle cifre del mercato con una crescita del +9,8% nelle vendite nel quarto trimestre del 2019, come riportato dal motore di ricerca Lyst, il cui approccio al luxury contemporaneo, a giudicare dai feedback che ha ricevuto, influenzerà la moda che vedremo sempre di più nei prossimi mesi.