La nuova surreale campagna video di Balenciaga
Un telegiornale distopico per parlare dell’alienazione della società
19 Febbraio 2020
Mai come oggi moda e politica si intrecciano tra loro, attraverso un linguaggio disilluso a tratti confuso, raramente positivo. Per il video della campagna SS20, Balenciaga approfondisce il discorso sull’iconografia della politica e sull’estetizzazione della banalità corporate mettendo in scena un finto telegiornale a metà fra la satira e il surrealismo.
Immagini di una società tecnologica e artificiale scorrono sullo schermo accompagnate da suoni disturbanti e caotici composti dal gruppo americano Wolf Eyes, slogan insensati come “No More Traffic Jams!”, “Where Is All The Water Going?” e “Pedestrians Are Back” appaiono in sovrimpressione mentre i modelli che indossano gli abiti della stagione SS20 in make-up prostetici esagerati muovono bocche animate digitalmente pronunciando suoni disconnessi. È la rappresentazione di una società distopica, di un futuro vicino e privo di senso e soprattutto è uno sviluppo ideale dell’estetica portata avanti da Demna Gvasalia durante questa stagione.
L’omologazione della politica e del mondo aziendale, la banalità elevata ad estetica e la bruttezza come fulcro della ricerca stilistica sono le basi della riflessione sul mondo moderno portate avanti da Gvasalia sin dall’inizio della sua direzione artistica per Balenciaga. Sia la sfilata S220 del brand che la recente campagna fotografica che riproduceva manifesti elettoriali, hanno avuto come leitmotiv una particolare sfumatura di blu ripresa dall’iconografia del Parlamento Europeo. Anche nelle foto della campagna erano centrali gli slogan insignificanti, che proprio tramite la loro palese vuotezza ironizzavano sulla mancanza di valori e sulla banalità e falsità dei politici da un lato, e sulla completa apatia, cinismo e disillusione del pubblico dall’altro. Gli abiti stessi poi non sono che una parodia delle dozzinali uniformi della politica, opposte in qualche modo alla moda, pensate per essere rassicuranti e ripetitive ma volutamente esagerate da Gvasalia per mostrarsi in tutta la loro mostruosa mediocrità.
All’immagine di un mondo governato da meschini e antiestetici burocrati, questo nuovo telegiornale aggiunge l’idea di una comunicazione altamente codificata, artificiale e “disumana” che viene accettata passivamente come parte di un linguaggio comune ma rimane lettera morta. Privo di senso per chi lo enuncia freddamente al di qua dello schermo e privo di senso per chi la ascolta, riconoscendolo ma senza capirlo, questo flusso di notizie parla di una società artificiale, resa apatica dalla post-verità e assurda. Ma quel che è peggio è che questa società assomiglia in maniera inquietante alla nostra. Gli abiti sono un prolungamento e una manifestazione di questa piattezza – il riflesso di un mondo che ha dimenticato l’esistenza di un senso dietro le cose.