L’IBRIdazione
04 Aprile 2011
Si chiama L’IBRIdazione (ingorghi letterari di città e dintorni) la prima rubrica di naplestreetstyle esclusivamente dedicata alla nuova letteratura, le sue forme, i suoi protagonisti.
Con uno sguardo privilegiato alla nostra città, proporrò un libro e il suo autore in ogni attualizzazione della rubrica.
Per cominciare il discorso ho scelto Cristiano de Majo e il suo “Vita e morte di un giovane impostore, scritta da me, il suo migliore amico” (Ponte alle Grazie, 2010).
È sorprendente il romanzo di de Majo sin dalle prime pagine. La vita e l’opera del fantomatico D.D vengono ricostruite, con le dovute interpretazioni e rivincite personali, dall’amico d’infanzia Massimiliano Scotti Scalfato. La narrazione, sul filo dei magnifici Bolaño e Borges de “La letteratura Nazista in America” e “Storia Universale dell’infamia”, procede attraverso cartoline, pagine di diario, confessioni rinchiuse in un registratore e altro materiale sopravvissuto alla morte prematura di D.D, il suo innocente autore. Un bestiario contemporaneo, quello di de Majo, assolutamente fuori dalle mode editoriali del nostro paese, e per questo coraggioso e autentico.
Perché scrivi?
Sono sempre stato attratto da tutte le forme di espressione artistica. Ma non ho mai saputo disegnare e con la musica ho fatto qualche tentativo fallito miseramente. Ho iniziato a scrivere per scherzo al liceo. Poi, più seriamente, dopo i vent’anni. Da allora non ho avuto più dubbi su cosa volessi fare nella vita.
Cosa ne pensi dello stato attuale della letteratura italiana?
Non lo so, questa è una domanda che si ripresenta spesso e a cui, altrettanto spesso, rispondo in tono apocalittico, ma oggi che mi sento più in pace con me stesso cercherò di essere moderato. Ci sono molte cose che non mi piacciono. Noto anche una sovrapproduzione e un abbassamento degli standard qualitativi per arrivare alla pubblicazione. Detesto un certo amore italiano per le lingue semplici e le storie a sfondo sociale. Però ci sono anche alcune, poche, cose che mi piacciono molto. E in ogni caso è impossibile per me rispondere in modo lucido sullo stato generale. Lo scrittore vive di amori e idiosincrasie, non è un istituto di statistica.
Nel tuo ultimo romanzo esiste una poetica della citazione, molto presente nelle opere narrative di scrittori d’oltreoceano, sia dell’ambito latino che di quello anglofono. Raccontaci com’è nato “Vita e morte di un giovane impostore scritta da me, il suo migliore amico”, qual è stato il suo “paesaggio di formazione”.
È nato, da un punto di vista concettuale, come riflessione sul racconto biografico e autobiografico, sul rapporto tra verità e finzione, sull’ambiguità come motore portante della letteratura. E se per “paesaggio di formazione” intendi i libri che in qualche modo hanno ispirato Vita e morte, è certamente vero quello che dici, sulla letteratura latina e anglofona. Borges in particolare è uno degli scrittori che amo di più da sempre. Come tutti gli scrittori che riescono a costruire universi autonomi con proprie leggi. Nabokov e Bernhard sono due tra quelli che studio di più.
In che direzione sta andando la tua scrittura?
Difficile a dirsi, per il momento. Ho da pochissimo ricominciato a scrivere una nuova cosa. Vorrei insistere comunque con il racconto in prima persona. E mi piacerebbe anche riuscire a parlare d’amore, cosa difficilissima. Ma per il momento le idee non sono ancora nitide. Ho in mente una specie di struttura e alcuni personaggi e sto cercando il suono della storia.
Te lo ricordi il primo romanzo che hai letto?
Non ho un ricordo netto, preciso. Ma credo ci siano molti primi romanzi nella mia formazione. Il primo in assoluto è stato probabilmente un giallo di Agatha Christie o di Arthur Conan Doyle, o forse un libro per ragazzi di Isaac Asimov. Poi, verso i sedici anni, c’è stata la fase Hemingway. Ricordo il piacere assoluto di certi pomeriggi estivi passati a leggere Per chi suona la campana; non è stato il primo romanzo che ho letto, ma è stato sicuramente il primo che mi ha fatto capire il potere della letteratura. Un’altra iniziazione, di poco successiva, la individuo in Meno di zero, il primo romanzo che mi ha fatto pensare che lo scrittore stesse parlando anche di me. Dello stesso tenore, ma in un senso diverso, è stata la scoperta di David Foster Wallace. Ma in fondo si potrebbe dire che tutti i romanzi pionieristici, quelli ci fanno scoprire una dimensione ulteriore, sono come il primo romanzo che abbiamo letto.