Il politically correct sarà la causa della morte della moda?
Una riflessione su quanto i nuovi standard stiano effettivamente aiutando o distruggendo la creatività del settore
05 Luglio 2019
I punti di vista e le opinioni espresse in questo pezzo sono solo quelli dell'autore e non riflettono necessariamente la posizione di nss nel suo complesso.
Nel 2019 siamo tutti consapevoli di un movimento conosciuto come political correctness, in particolare per quanto riguarda il mondo della moda. Nel corso dell'ultimo decennio abbiamo assistito ad un incremento di consapevolezza e sensibilità su temi come la razza, il gender e la cultura all'interno dell'industria. Con la crescente potenza dei social media abbiamo visto il movimento avere un impatto diretto e senza sconti sui brand del settore, attraverso post su Instagram e commenti di 'cani da guardia' come Diet Prada. Nel corso di quest'anno Prada è stato al centro del dibattito per i portachiavi che ricordavano Blackface, Gucci ha scatenato i tweet dei Sikh irritati per l'uso di un turbante Sikh come accessorio in una sfilata della Maison, mentre i commenti ignoranti di Stefano Gabbana sulla Cina sono costati a D&G la perdita di un evento monumentale a Shangahi, oltre ad innumerevoli consumatori asiatici. E' in momenti come questi che i brand sono costretti a guardarsi allo specchio e analizzare il loro modus operandi. Quasi in ogni caso si ricorre immediatamente a cambiamenti necessari come uno staff più diversificato, programmi di tutoraggio e borse di studio, e così via.
Questi sono solo alcuni dei casi e delle conseguenze che hanno avuto negli ultimi mesi, e anche se l'integrità di Diet Prada è stata più volte messa in discussione, questa conversazione non riguarda quello. Questa riflessione riguarda gli effetti della political correctness sulla creatività della moda.
Molti sono convinti che un'attenzione eccessiva verso questi temi non fa altro che limitare e rovinare la creatività della moda:
Viviamo in tempi violentemente moralistici, che distruggono la libertà di espressione e la creatività nel nome di un'idea distorta della libertà di espressione. I censori stanno cercando di trasformare la moda in qualcosa di terribilmente intelligente e necessariamente politico, negando la sua natura frivola, sciocca e distratta - Angelo Flaccavento, critico di moda.
Mentre altri sostengono che potrebbe avere solo effetti positivi sulla consapevolezza dei brand e dei consumatori:
Dal modo in cui gli abiti sono prodotti e consumati, fino al modo in cui sono promossi, la moda continua nei temi e nell'immagine quello che il colonialismo ha iniziato ... Se le persone vogliono indossare abiti che consapevolmente richiamano all'oppressione coloniale, nessuno li fermerà ma dovrebbero aspettarsi di essere interrogati su ciò a cui stavano pensando - ha dichiarato il dottor Royce Mahawatte, Professore di Studi Culturali presso la Central St Martins.
Tuttavia, a partire dall'osservazione di innumerevoli polemiche che si scatenano sui social, nella mia opinione entrambe le posizione descritte sopra sono plausibili.
Ciò che ha causato gran parte dell'attuale conflitto nell'industria è la pretesa che la moda parli con una voce intelligente e consapevole di sè su temi specifici, in opposizione all'opinione opinabile e soggetta a libera interpretazione dell'artista medio. A sua volta, ciò ha portato alla critica e alla messa in discussione del diritto del mondo della moda alla libertà di espressione. Questa metamorfosi politica è in costante mutamento, così come la reputazione della moda stessa, spesso accusata di essere superficiale, a maggior ragione quando si parla di fast fashion.
Nelle parole dell'ex caporedattore di Vogue Italia, la defunta Franca Sozzani, "La moda non riguarda solo i vestiti, ma la vita. Ha la capacità e la responsabilità di usare il suo potere per evidenziare i problemi e costringerli alla conversazione pubblica". Tuttavia questa linea di pensiero solleva una domanda: tale potere e creatività dovrebbero avere una morale? La moda dovrebbe avere dei limiti morali e sociali?
Chiudete gli occhi e immaginate un mondo in cui Michelangelo e Caravaggio sono stati censurati per la nudità dei loro soggetti e per il modo in cui trattavano la religione... sarebbe un mondo abbastanza noioso, no? Ora richiudeteli di nuovo e immaginate un mondo in cui i designer non hanno limiti morali né culturali. Ciò probabilmente si tradurrebbe in fotografi di moda che utilizzano campi profughi e comunità poverissime come sfondo per editoriali di alta moda, dando vita a tendenze come "poverty-chic" o "migrant-chic". Ciò potrebbe comportare inoltre la scelta di alcuni brand di lanciare prodotti che rimandano al concetto di blackface o ad altre immagini storicamente traumatiche solo nel nome della pubblicità e del guadagno economico. Sembra orribile vero? Beh che ci crediate o no, ho appena descritto tutti fatti realmente accaduti nel corso dell'ultimo decennio. Questo non vuol dire che l'intero settore sia corrotto, il bene non può esistere senza il male, ma questi nuovi standard per i marchi rovineranno l'industria o semplicemente alzeranno l'asticella?
La moda degli anni scorsi ci ha regalato collezioni indimenticabili ricche di significato firmate da geni come Alexander McQueen, John Galliano, Hussein Chalayan, tra gli altri. I grandi designer hanno sempre usato la semiologia sartoriale come variabile trasformativa nelle collezioni, ma la realtà è che non è sempre così, non sempre le intenzioni sono dettate da un principio puramente artistico, molte volte l'obiettivo è solo essere di tendenza. E a quei tempi un muro di correttezza politica esisteva eccome, McQueen e Galliano sono stati accusati molte volte di essere misogini, e persino pazzi.
L'unica differenza è che allora non esisteva ancora un muro tra i brand e i consumatori, quindi rivoluzionari come McQueen non dovevano preoccuparsi di contenersi, o di rispettare dei confini ben delimitati, perché ciò non avrebbe influito concretamente sul successo commerciale del marchio. Tuttavia oggi i brand sono chiamati a rispondere ad una generazione diversa: mentre i Baby Boomers volevano promuovere valori progressisti, i Millennials vogliono minimizzare i sentimenti e promuovere tolleranza e inclusività.
La Generazione Y ha aperto gli occhi, ha radunato le truppe e ha scelto gli emoji come munizioni. Alcuni sono armati di una grande sete di vendetta, altri sono vendicativi senza un vero motivo. Il campo di battaglia è ampio e pieno di smog. Da una parte ci sono i Millennial incazzati, con le loro sopracciglia perfette, sneaker Balenciaga ai piedi e con a cuore temi sulla question gender. Le dita sono pronte a scattare sul grilletto delle loro armi predilette: le tastiere. Dall'altra parte, il sistema, l'uomo col completo, un gruppo costituito dai luxury brand e dalle grandi corporation. Alcuni si arrendono, altri sono più tenaci, sventolano il loro patrimonio come una bandiera bianca. Al centro del campo di battaglia c'è il destino della moda, quello che è oggi e quello che diventerà domani. Prevedo la battaglia finire in due soli modi. In entrambi i Millennial ne usciranno vincitori, i produttori si inchineranno alle loro richieste, segnando la morte della moda, ma anche la sua rinascita.
Entrambi i risultati sono ugualmente probabili, solo il tempo lo dirà. Nel frattempo scegliete da che parte stare, e scegliete con saggezza.