La collezione Gucci Resort ci ricorda lo stretto legame tra moda e politica
Per la sfilata Cruise Alessandro Michele è passato dalla poesia alle dichiarazioni politiche
29 Maggio 2019
Ieri sera Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, ha accolto gli invitati alla sfilata Resort 2020 all'interno dei Musei Capitolini di Roma. La Maison italiana è famosa per la sua ricerca di location sempre particolari, ma per diverse ragioni il set scelto ieri aveva un significato ancora maggiore. Michele è notoriamente appassionato di storia e antichità, e i Musei Capitolini sono considerati il primo museo della storia, concepiti da Michelangelo nel 1734. All'ingresso del museo era appeso un lenzuolo dipinto con le parole dello storico e archeologo Paul Veyne: "Solo l'antichità pagana ha risvegliato il mio desiderio, perché era il mondo di prima, perché era un mondo abolito", stabilendo fin da subito il tema e il tono della collezione. All'interno il designer ha portato in passerella la collezione al buio, tra una serie di statue antiche gigantesche.
Ad aprire lo show è stato un un abito nero, accessoriato con guanti di pizzo e un copricapo gigante ispirato a quello che il leggendario designer Bob Mackie aveva realizzato per Cher in occasione degli Oscar del 1986. Un riferimento interessante e giocoso, una citazione che ci si poteva aspettare dal designer che ha stabilito un chiaro tono ludico nelle ultime stagioni. Ma mentre i flash del pubblico illuminavano la scena, e la colonna sonora costituita da un coro di voci e dal suono di un'arpa serpeggiava in sottofondo, è apparsa una giacca in lino col logo Gucci decorata dalla scritta MY BODY MY CHOICE, famosa citazione femminista degli anni '70. Se inizialmente questa poteva sembrare una citazione casuale, l'accenno alla sfera politica è continuato, grazie ad un utero ricamato sul davanti di un abito, e ancora con un top decorato dalla data 22.05.1978 - il giorno in cui è entrata in vigore in Italia la legge 194, quella che riguarda la protezione sociale della maternità e la cessazione volontaria della gravidanza. Poco dopo, un'altra data fa la sua apparizione come ricamo sul retro di un look maschile, 09-11-1989: la caduta del muro di Berlino.Michele ha chiaramente rivisto le sue priorità per questa collezione, che questa volta non comprendeva figure di streghe e sirene. Gucci aveva già preso una posizione su diverse questioni politiche soprattutto attraverso l'istituzione dell'associazione Chime for Change nel 2013, ma questa è la prima volta che la politica fa il suo ingresso anche nelle collezioni di moda. Alessandro Michele, il re di streghe, stregoni, zingari e tutto ciò che è immaginifico, ha voluto dire la sua, schierandosi apertamente.Il Gucci di Alessandro Michele è sempre stato sinonimo di libertà e fluidità, ma nelle scorse stagioni la maison ha dovuto fare i conti con una serie di critiche e polemiche per questioni che riguardano la discriminazione razziale e culturale. La Maison ha reagito istituendo una serie di borse di studio, programmi di tutoraggio e reali cambiamenti all'interno della sua gerarchia, ma questa sfilata potrebbe essere un modo per affermare esplicitamente di essere dalla parte giusta del cambiamento sociale e politico.
Ma la domanda è un'altra: fantasia e politica possono convivere? Gli affari sporchi della politica possono invadere gli spazi immaginativi della moda? La moda ha sempre riguardato l'essenza della libertà, la moda stessa nasce dall'idea di non conformarsi ad un'identità che ti è stata data dalla società, ma dalla definizione della propria idea di sé attraverso il modo in cui ci si veste. Ciò è stato particolarmente evidente nelle ultime stagioni, quando sulle passerelle di mezzo mondo i confini tra uomo e donna si sono fatti sempre più sottili. La moda in sé porta una voce liberale che non è limitata da un particolare genere, razza, sessualità o classe, ma che consente alle sue muse di incarnare personaggi diversi oltre i confini della società.Le politiche conservatrici di Trump, e più localmente anche quelle di Salvini, sono forze opposte a questo tipo di libertà. Sono movimenti che vedono l'identità e la cultura come qualcosa di fisso e immutabile, e proprio per questo si affermano come una minaccia al concetto di moda. E' perfettamente logico quindi che le dichiarazioni politiche passino attraverso gli abiti. La Public School di New York ha mandato in passerella dei modelli con indosso dei cappellini con la scritta "Make America New York", in opposizione allo slogan di Trump, "Make America Great Again". Sempre sulla stessa scia, Maria Grazia Chiuri da Dior ha portato i motti femministi su T-Shirt bianche decorate dalla scritta We Should All Be Feminists, mentre Calvin Klein ha sempre creato campagne pubblicitarie senza barriere di genere. Moda e politica sono sempre andate di pari passo: nel 1994 Naomi Campbell posò nuda in una campagna contro l'uso delle pellicce, Vivienne Westwood nel 1977 portò in passerella una T-shirt esplicitamente anti-nazista.